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Che Dio ci perdoni

Regia di Rodrigo Sorogoyen vedi scheda film

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La recensione su Che Dio ci perdoni

di ilcausticocinefilo
5 stelle

 

locandina

Che Dio ci perdoni (2016): locandina

 

 

Opus n° 2 per lo spagnolo Sorogoyen dopo l’esordio con Stockholm finanziato tramite una campagna di crowdfunding, Che Dio ci perdoni è un altro thriller iberico che riesce a raggiungere anche il Belpaese (solo in home-video, però). Un film dal forte impatto emotivo, formalmente curato, che però non con­vince fino in fondo.

 

Nella prima ora, ad essere sinceri, prima che il serial killer faccia la sua comparsa, si man­tiene su un ottimo livello, ma dopo comincia seriamen­te a sbandare sul versante narrativo.

 

 

Antonio de la Torre, Roberto Álamo

Che Dio ci perdoni (2016): Antonio de la Torre, Roberto Álamo

 

 

La stessa prima comparsa “in carne e ossa” dell’assassino ha del ridico­lo: viene riconosciuto solo in virtù del fatto che si pre­occupa di dare da mangiare ad un micetto randagio. Vi­sto che non viene catturato, comunque, la storia finisce lì, evitando di aprire altre macroscopiche questioni di verosimiglianza.

 

E il film riprende abbastanza quota, nonostante permanga sempre il dubbio su come sia pos­sibile che un uomo così disturbato come il protagonista interpretato da de la Torre faccia l’investigatore (quan­do deve fermare un sospetto si fa perfino sfuggire la pi­stola; ad un gesto gentile della donna delle pulizie ri­sponde con quello che è a tutti gli effetti un tentato stu­pro [del quale incredibilmente la donna successivamen­te pare dimenticarsi]).

 

Il finale, tuttavia, abbassa decisa­mente il livello, riuscendo quasi a rovinare quanto di buono visto in precedenza. Perché è improbabile ma so­prattutto privo di qualunque spiegazione (come diavolo ha fatto a rintracciarlo dopo così tanto tempo? Non è dato saperlo).

 

 

Antonio de la Torre

Che Dio ci perdoni (2016): Antonio de la Torre

 

 

Inoltre, v’è forse un po’ troppo compiaci­mento nella rappresentazione delle scene di violenza, ma nulla di particolarmente urticante per lo spettatore smaliziato del terzo millennio, bisogna ammet­terlo (pur tenendo nel dovuto conto la natura malata del crimine al centro del film).

 

Di questo Che Dio ci perdoni si può dire, comunque, che si dimostri capace di mantenere viva una certa tensione per gran parte della sua durata e che cat­turi in qualche modo l’atmosfera di quegli anni di crisi, un tempo di soli­tudini ed emarginazioni, ma per la verità la realtà sociale rimane sempre molto sullo sfondo (in effetti se non fosse per la notizia dell’imminente arrivo del papa dire in quale anno sia ambientato sarebbe piuttosto difficile).

Ed è dun­que l’intreccio poliziesco a risaltare, come è giusto che sia, in un film di genere. Peccato solo per le ci­tate falle di sceneggiatura. In ogni caso, grandissima prova dei due attori protagonisti (specialmente Álamo).

 

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