Regia di Rodrigo Sorogoyen vedi scheda film
Opus n° 2 per lo spagnolo Sorogoyen dopo l’esordio con Stockholm finanziato tramite una campagna di crowdfunding, Che Dio ci perdoni è un altro thriller iberico che riesce a raggiungere anche il Belpaese (solo in home-video, però). Un film dal forte impatto emotivo, formalmente curato, che però non convince fino in fondo.
Nella prima ora, ad essere sinceri, prima che il serial killer faccia la sua comparsa, si mantiene su un ottimo livello, ma dopo comincia seriamente a sbandare sul versante narrativo.
La stessa prima comparsa “in carne e ossa” dell’assassino ha del ridicolo: viene riconosciuto solo in virtù del fatto che si preoccupa di dare da mangiare ad un micetto randagio. Visto che non viene catturato, comunque, la storia finisce lì, evitando di aprire altre macroscopiche questioni di verosimiglianza.
E il film riprende abbastanza quota, nonostante permanga sempre il dubbio su come sia possibile che un uomo così disturbato come il protagonista interpretato da de la Torre faccia l’investigatore (quando deve fermare un sospetto si fa perfino sfuggire la pistola; ad un gesto gentile della donna delle pulizie risponde con quello che è a tutti gli effetti un tentato stupro [del quale incredibilmente la donna successivamente pare dimenticarsi]).
Il finale, tuttavia, abbassa decisamente il livello, riuscendo quasi a rovinare quanto di buono visto in precedenza. Perché è improbabile ma soprattutto privo di qualunque spiegazione (come diavolo ha fatto a rintracciarlo dopo così tanto tempo? Non è dato saperlo).
Inoltre, v’è forse un po’ troppo compiacimento nella rappresentazione delle scene di violenza, ma nulla di particolarmente urticante per lo spettatore smaliziato del terzo millennio, bisogna ammetterlo (pur tenendo nel dovuto conto la natura malata del crimine al centro del film).
Di questo Che Dio ci perdoni si può dire, comunque, che si dimostri capace di mantenere viva una certa tensione per gran parte della sua durata e che catturi in qualche modo l’atmosfera di quegli anni di crisi, un tempo di solitudini ed emarginazioni, ma per la verità la realtà sociale rimane sempre molto sullo sfondo (in effetti se non fosse per la notizia dell’imminente arrivo del papa dire in quale anno sia ambientato sarebbe piuttosto difficile).
Ed è dunque l’intreccio poliziesco a risaltare, come è giusto che sia, in un film di genere. Peccato solo per le citate falle di sceneggiatura. In ogni caso, grandissima prova dei due attori protagonisti (specialmente Álamo).
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