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Una donna tutta sola

Regia di Paul Mazursky vedi scheda film

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La recensione su Una donna tutta sola

di degoffro
8 stelle

Brillante, spudorata e acuta commedia americana che ironizza con intelligenza, sarcasmo e un pizzico di amarezza sulla triste e apatica condizione di una donna, che dopo 16 anni di apparente felice matrimonio, si trova tutta sola in seguito all’abbandono del marito, invaghitosi di una ragazza molto più giovane di lui: “Ti sei disamorato della mia carne, del mio corpo o di me?" chiede la protagonista al marito fedifrago. Mazursky, affidandosi al talento naturale di una Jill Clayburgh in stato di grazia (non a caso premiata a Cannes e candidata all’Oscar per la sua interpretazione, naturale, spontanea, viva, capace di far scattare immediata ed inevitabile l’identificazione) tratta tematiche anche piuttosto delicate con leggerezza, affetto e brio, forse anche con qualche superficialità, ma comunque ben radicato in una realtà comune e diffusa, particolarmente attento ad uno sviluppo psicologico credibile e convincente dei suoi personaggi. Un saggio spiritoso e vivace “sull’orribile santità del matrimonio”, sul continuo e perenne stato d’ansia di tanti uomini (“Sono stanco: sono l’uomo delle responsabilità, vorrei lasciare la borsa e fare il dj, dice il marito a Erika), nonché sulla loro paura di invecchiare e sulla loro immaturità, egoismo e spiccia filosofia di vita (“C’è il lavoro, il cibo e c’è il sesso: è tutto lì il Luna Park”, secondo Charile, banale e donnaiolo collega di Erika), sul piacere delle donne di chiacchierare, sul loro bisogno di stabilità (“e’ bello avere un uomo da cui tornare”) sui sentimenti di rabbia, delusione e depressione, nonché sulla difficoltà di ricominciare dopo una separazione (“Una volta divorziata la donna dorme in giro, beve parecchio, finge di avere una gran stima di sé, invece non ne ha alcuna”). Ricco di battute pungenti e azzeccate nel più puro stile Woody Allen come ad esempio “Toglietemi il marron glace ma non l’orgasmo” il film scorre veloce e gradevole, coinvolgendo lo spettatore nelle peregrinazioni sentimentali di Erika, dapprima disorientata, paranoica, perplessa, suscettibile ed elettrica, convinta che ogni uomo pensi esclusivamente al sesso (“Scopa bene? è la prima domanda che rivolge al marito dopo che l’uomo le ha dichiarato di volerla lasciare), incapace di stabilire una relazione sana e serena anche con la figlia Cathy (“Prova a fare la madre”, le dice dopo che Erika le ha urlato che non può farle anche da padre), profondamente inaridita nei confronti del marito verso il quale nutre solo sentimenti di disprezzo (“Come puoi odiare qualcuno che hai amato per sedici anni? domanda l’uomo con la solita ingenua stupidità), consapevole però, grazie all’aiuto di una terapista che “è necessario scaricare i propri sensi di colpa” e gettarsi nella mischia senza paura, magari “provando anche a fare l’amore senza amore per sapere che effetto fa”. Del resto “sono le persone normali che divorziano, le altre non si sposano”: con questa certezza si può respingere il marito che accenna a tornare (“E’ come se fossi stato malato per qualche tempo e poi sono guarito”), accettare la discreta corte di un pittore stravagante ma poi decidere di camminare da sola con le proprie gambe, finalmente solare e sorridente, per le strade di New York con un dipinto gigantesco tra le mani, per ricominciare una nuova vita senza uomini. Forse troppo femminista, furbo e studiato a tavolino, ma decisamente intrigante, stuzzicante e accattivante.
Voto: 7

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