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Un cuore in inverno

Regia di Claude Sautet vedi scheda film

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La recensione su Un cuore in inverno

di Utente rimosso (Cantagallo)
10 stelle

Puro cinema francese all’apice di eleganza, raffinatezza, precisione di analisi interiore. Un cuore in inverno è uno di quei film che ogni tanto bisogna rivedere, dopo tanto peregrinare per pellicole, per ritrovare la bussola, l’archetipo, l’essenza del cinema al di là delle mode, dei generi e dei gusti.


Diversi e complementari, Stephane e Maxime sono da molti anni i due soci di una liuteria: abile e taciturno, il primo costruisce e ripara violini con la sensibilità e la competenza di un musicista mentre il secondo, affabile e pragmatico, si occupa dei clienti "come fossero dei pazienti". Maxime frequenta da qualche tempo la giovane e affascinante violinista Camille. Poco dopo averne fatto la conoscenza, Camille avverte che Stephane non le è indifferente.


Claude Sautet lavora di cesello su sguardi e dialoghi plasmando una materia intangibile ovvero il non-detto e il non-agito. Camille è dapprima incuriosita da Stephane, poi attratta e confusa: in presenza di lui non riesce a concentrarsi sull’esecuzione dei brani. L’imperturbabile Stephane capisce di poter esercitare il suo ascendente proprio evitando di corteggiarla e senza prendere iniziative, gli basta dire "mi piace guardarti parlare" per scatenare un effetto domino dentro di lei. Circostanze apparentemente casuali, parole ambivalenti, minimi mutamenti di percezione dell’altro. Introverso e sornione, Stephane ha costruito su di se’ un personaggio cinico e distante, che ama solo il suo lavoro, ma veramente è insensibile a Camille? Davvero ha solo voluto prendersi gioco di lei e di Maxime rimanendo immune come dice e pretende di essere? Maestro dell’insondabile, Sautet non è interessato a risolvere l’enigma quanto piuttosto a lasciare che il mistero rimanga sospeso nell’aria. Per come l’ho vissuto io, Stephane è colpito e attratto da Camille, anche Maxime che lo conosce bene conferma di essersene accorto. Riferendosi al suo maestro di musica Stephane dice a Camillle "credevo che fosse l’unica persona che io abbia mai amato" ammettendo forse di averla realmente desiderata. Ma c’è di più. Quando Stephane visita l’appartamento che Maxime abiterà con Camille ha un malore: questo forse rivela l’autentico turbamento di Stephane, che in quel momento tocca con mano ciò da cui si è autoescluso, ovvero l’inizio di una vita di coppia, potenza che diventa atto, idea che facendosi realtà non è più soltanto un gioco della mente. Di fronte a Camille Stephane prova stupore, ma sa di non poterla rendere felice quindi si ritira, o forse aveva già rinunciato in partenza, in favore del soggetto sano, Maxime.


Emmanuelle Béart è al massimo dello splendore: sguardo ineludibile, profilo perfetto e collo lungo, è incantevole sia quando è altera e compunta coi capelli raccolti, sia quando è vulnerabile e sconvolta coi capelli sciolti. Lunghe e impegnative le scene nelle quali suona il violino, che al mio occhio profano sembrano impeccabili. Daniel Auteuil, con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così... all’epoca compagno della Béart, è in un ruolo indimenticabile che gli calza a pennello. Ottimo anche André Dussolier nella parte di un uomo di mondo, positivo, sobrio. Il film ripone la sua ricchezza anche nei personaggi che ruotano attorno ai protagonisti, ognuno dei quali ha una sua compiutezza: Regine, l’agente che lavora in simbiosi con Camille, che si sente esclusa e destabilizzata quando la violinista inizia a ridefinire i confini della sua vita privata; l’amica di Stephane, quella con cui non ci sono malintesi, in cerca di una sistemazione sentimentale; l’anziano maestro di musica, forse l’unico che abbia mai capito Stephane.


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