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Notti selvagge

Regia di Cyril Collard vedi scheda film

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La recensione su Notti selvagge

di millertropico
8 stelle

Forse perché frutto della drammatica esperienza personale del regista, “Le notti selvagge” resta ancora oggi, uno degli esempi più significativi, personali e importanti del cinema che ha trattato il problema del flagello “Aids”, girato peraltro in anni (il 1992) in cui rappresentava ancora una inappellabile sentenza di morte.

A qualcuno potrebbe apparire adesso un’opera viziata dal masochistico narcisismo del suo autore, proprio per la sfrontatezza con cui Collard affronta l’argomento, privo di tatticismi sentimentali o di retoriche da lacrime facili, ma si tratterebbe di un errore davvero macroscopico. Non escludo infatti che ci sia stata anche una certa voglia di baldanzoso “esibizionismo” a guidargli la mano in questa impresa compiuta a ridosso della sua dipartita (facendolo così diventare quasi un lascito testamentario) ma rivedendolo ancora oggi che le cose sono sostanzialmente cambiate e la malattia sembra essere quasi dimenticata e non fa più paura a nessuno perché è diventata una patologia cronicizzata indubbiamente meno “pericolosa”, per la vita per esempio di un’epatite C (salvo che per lo stigma da maledizione biblica che si porta ancora dietro e in forma decisamente superiore di ogni altra malattia invalidante – vedi i fatti di questi giorni, clamorosamente pompati dalla stampa e da Chi l’ha visto? che francamente dovrebbe invece interessarsi di altre cose) è soprattutto il coraggio e la sincerità con cui Collard si è messo in gioco fino in fondo. L’opera autobiografica del regista con la sua pubblica confessione di “irresponsabilità morale” provoca infatti scalpore (seppure in forma più ridotta) anche adesso, tanto da rimanere ugualmente sconvolgente in alcuni passaggi.

Il film racconta la vita vissuta in modo promiscuo da Jean (l’alter-ego del regista interpretato peraltro dallo stesso Collard), giovane cineoperatore e direttore della fotografia che pur avendo un rapporto omosessuale con il rugbista Samy, intrattiene contemporaneamente anche quello con una ragazza, Laura (la Boringher) conosciuta durante alcuni provini alla quale però non confessa subito di essere sieropositivo.

L’azione si volge a Parigi più o meno alla metà degli anni ’80, e quindi abbastanza a ridosso dalla scoperta del virus e il film fece molto rumore soprattutto per una scena in cui Laura, da poco venuta a conoscenza della cosa e dopo aver consumato inconsapevolmente molti rapporti non protetti con Jean, rifiuta – e questa volta consapevolmente - l’uso del preservativo.

Secondo alcuni, Collard voleva dare cosi nel suo film un’immagine di onnipotenza nei confronti della vita e di rimozione della realtà del contagio . A mio avviso invece il regista nel mettere in scena la propria esperienza di vita, offre una visione interessante della relazione che può esserci fra comportamenti a rischio e la percezione soggettiva di coloro che li compiono, facendoci di conseguenza ben capire che basta un nulla, e chiunque può essere a rischio semplicemente se per qualche ragione – anche di stampo sentimentale – si abbassa la guardia.

I punti di forza della pellicola, sono comunque da ricercare nelle immagini prive di retorica che mostra, nel suo voler documentare i fatti per quello che sono senza pretendere di dare sentenze, giudizi o lezioni di morale e soprattutto per la totale assenza di compiacimento e compassione: si avverte insomma che Collard non è qui alla ricerca né di callosa pietà né di assoluzione.

La censura italiana che non comprese assolutamente il forsennato romanticismo dell’opera che verso l’epilogo diventa persino edificante nella sua urlata voglia di vita (il Morandini) spaventata dalla scabrosità del soggetto, non solo fece apportare alcuni tagli, ma pretese anche il divieto ai minori di 18 anni. 

 

A titolo di cronaca, ricordo che Collard morì di Aids 4 giorni prima che il film vincesse 4 premi César, fra cui quello per la migliore opera prima e il miglior film.

 

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