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Blade Runner. The Director's Cut

Regia di Ridley Scott vedi scheda film

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La recensione su Blade Runner. The Director's Cut

di Baliverna
10 stelle

Negli anni '80 Los Angeles stava diventando un inferno. L'ho sentito dire più volte. Se n'erano accorti in molti, tra cui Ridley Scott. il quale ne fa il prototipo di un mondo distopico avvolto nelle tenebre, dove si fa fatica a distinguere le macchine dagli esseri umani.

Quando i produttori impongono cambiamenti a pellicole come questa, risulta ancor più evidente la meschinità e l'invadenza di queste pretese, che calpestano tranquillamente la più nobile creatività dei cineasti. Ma il tempo è galantuomo...

Precisato questo, è evidente come Blade Runner sia stato girato con gli occhi più rivolti alla riuscita artistica, che al pubblico di massa. I suoi ritmi lenti, i suoi dialoghi rarefatti e le isolate sequenze d'azione ne sono la conferma. Come lo sono i moltissimi dettagli dell'ambientazione e i bizzarri personaggi secondari, o che compaiono sullo sfondo.

A proposito, uno dei motivi principali per cui questo film mi piace è proprio l'ambientazione e le scenografie. Los Angeles sporca e tenebrosa, popolata da individui (ombre più che persone) che brulicano per il centro, oltre che da barboni e teppisti, è costruita con molta cura. L'idea della pioggia incessante è curiosa (è una metropoli dove non piove molto), ma funziona, e contribuisce a creare un'atmosfera sgradevole ed opprimente, oltre che simile a quella dei noir classici. Anche gli appartamenti sono per nulla accoglienti e – anche quelli – scuri e sporchi. Certe sequenze di raccordo e al di fuori della trama me le sono riguardate più volte: quei tizi che conducono alcuni struzzi per le vie della città, i chioschi di cibo cinese, quegli strani teppisti nani che parlano in tedesco e assalgono la macchina del protagonista, la pubblicità della ragazza cinese che ingoia una pillola... Tutto immaginario, eppure tutto verosimile, e io mi stupisco per l'originalità e l'efficacia di queste idee.

Quanto al tema centrale del film, esso è quello degli androidi che iniziano ad avere caratteristiche umane, come i sentimenti, ma soprattutto la repulsione per la morte. Essi se la prendono col loro cinico progettista, e gli chiedono conto della loro situazione senza speranza. Questa idea, che evidentemente dobbiamo al romanzo che è alla base del film, è forse portatrice di un messaggio pseudo-religioso: gli esseri umani si ribellano al loro Creatore per la precarietà della loro condizione, gli rinfacciano i suoi errori e cercano un modo per evitare la morte “programmata”, alla quale sono destinati. Questa, forse, è una metafora della condizione umana secondo lo scrittore del libro, ma è solo una mia personale interpretazione.

Harrison Ford, tormentato, dubbioso e sofferente, è bravissimo. Riesce a far trasparire nel suo personaggio anche un nucleo d'umanità ancora intatto dentro di lui, nonostante la bruttura in cui vive. Segnalo anche Joe Turkel, l'inquietante barista di "Shining" – e qui l'inquietante direttore della Tyler Corporation.... Infine, il cattivissimo Rutger Hauer, nonostae il suo cuore di ghiaccio, riesce a toccare il cuore dello spettatore quando il suo tempo programmato è scaduto.

Ridley Scott in quegli anni era un regista geniale e ispirato; peccato che la vena non gli sia durata molto più a lungo.

 

 

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