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Gli autori parlano delle loro opere - Elia Kazan su Il mare d’erba
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Il mare d’erba è la seconda regia di Elia Kazan, quando per lui, che aveva comunque già raggiunto una certa autonomia,  non era ancora molto semplice – stretto e condizionato dalle pastoie coercitive vigenti a Hollywood in quegli anni  - riuscire a  dare alle  sue opere una fisionomia più personale e “certa”, totalmente  corrispondente alla “speciale” idea di cinema che coltivava e che realizzerà magnificamente con i titoli della maturità. Il terreno sui cui avrebbe voluto muoversi, era probabilmente quello giusto (in fondo l’adesione al progetto fu una “scelta” non un’ imposizione) visto che il romanzo di Conrand Richter  sceneggiato per lo schermo da Margherite Roberts e Vincent Lawrence dal cui trae origine la storia, è un passionale e appassionante melodramma familiare di amori e tradimenti sullo sfondo delle immense praterie e delle faide terriere del New Messico del 1880,  dal quale come ben sappiamo, “Gadg” (così veniva confidenzialmente chiamato Kazan) intendeva trarre un’opera dall’ampio respiro epico alla Dovzenko (ce lo ricorda anche il Mereghetti) vitalizzata e resa più aspra  dai conflitti profondi dei protagonisti, dalle loro passioni e dai loro lutti.

Le sue ambizioni di autore, dovettero invece fare i conti con le esigenze prioritarie della produzione (nella fattispecie la M.G.M.) che aveva ben altri progetti al riguardo,  e scendere  così a più miti consigli “conformizzandosi” di conseguenza alle indicazioni standard e alle  convenienze opportunistiche della committenza, anche perché non gli fu assegnato un cast di attori (tutto eccelsi nomi dello star system di allora)  a lui molto confacenti  e congeniali (non ha mai nascosto la sua più che antipatia, “incompatibilità”, proprio con il protagonista, Spencer Tracy, o meglio verso il modo di intendere la recitazione: “assomigliava troppo all’interno di un melone tenero e dolce”  fu il salace commento sulla sua faccia e la sua resa) totalmente inadatta a suo dire, per  rendere davvero credibile il dispotismo crudele del suo personaggio e la dimensione complessa della sua figura. Il risultato è allora proprio ciò che noi vediamo: una tragica storia un po’ moralisticheggiante nelle conclusioni, per alcuni persino troppo lenta e opaca nella sua andatura,  che ha in ogni caso ben poco di “riconoscibile” al di là di una già ben consolidata tenuta tecnica di realizzazione, dei “furori” delle problematiche di più ampio respiro che il regista avrebbe poi espresso attraverso le successive pellicole.

 

Mare d'erba (1947)

di Elia Kazan con Spencer Tracy, Katharine Hepburn, Melvyn Douglas, Robert Walker

 

Per quel che mi riguarda, rimane comunque un film strettamente – e indelebilmente -  legato ai ricordi della prima infanzia  (l’ho rivisto spesso alla televisione e… devo dire che continua ancora adesso a straziarmi il cuore, ma non posso nascondere che lo guardo sempre  con gli occhi emozionati  del bambino che ero allora, un giudizio che per tale ragione non può forse prescindere nemmeno dal “ricordare” ed esserne tutt’ora pienamente consapevole, che i palpitanti temi  portati alla ribalta erano comunque fra quelli preferiti da mia madre, e che con lei ho condiviso a suo tempo avversioni e fiumi di lacrime su  quelle figure e la loro sorte). Giudizio quindi totalmente “acritico” e sentimentale su un film che ho sempre però immaginato avesse in ogni caso conseguito un successo strepitoso proprio per le tematiche strappalacrime di odio/amore/tradimenti/lutti e pentimenti che portava dentro. E poi gli attori con il loro indubbio carisma, indipendentemente dal giudizio del regista, riuscivano ampiamente  a coprire eventuali buchi, e le loro performances continuano ancora adesso a sembrarmi di eccellente levatura (oltre a Spencer Tracy, Katharine Hepubrn, Melvyn Douglas, Robert Walker, Phillys Taxter e Edgard Buchanan).

Stando a ciò che scrive Kazan  nei sui ricordi, sembra che invece le cose non siano proprio andate in quella direzione, anche se non mi è dato di conoscere con certezza se le sue parole si riferiscono alle reazioni del pubblico – che caparbiamente continuo a immaginare “positive”  - o a quelle della critica (lodevole iniziativa quella della “Cineteca di Bologna” di aver pubblicato insieme al dvd contenente il documentario di Martin Scorsese e  Kent Jones “A letter to Elia” che nei contenuti extra mostra interessanti contributi di Al Pacino, Robert De Niro, Ellen Burstyn Lois Smith, Frances Kazan, Eli Wallace e Alec Baldwuin oltre a una “imperdibile” conversazione/intervista a Faith Akin che racconta il particolare rapporto di amicizia tra uno dei padri del cinema turco come Yilmaz Güney - comunista, internazionalista, per molti anni detenuto dalle milizie turche e successivamente esule in Francia - ed Elia Kazan, che rappresenta anche una eccezionale, interessante e preziosissima riflessione all’interno delle cinematografie di tre registi migranti che hanno non solo nella Turchia - l’essere nati lì, intendo – radici “certe” di riferimento, anche il volume curato da Robert Cornfield con la traduzione di Manuela Vittorelli;  Elia Kazan: Appunti di regia):

 

Adesso avevo un po’ più di potere che mi permetteva di scegliere il mio prossimo film, e scelsi immediatamente quello sbagliato. Ero ingenuo, il che aggravò la situazione. Pensavo che avrei fatto una grande epopea del grande paese che mi aveva dato ospitalità – come “Cimarron” o “Il fiume rosso”, tanto per intenderci. Invece mi ritrovai prigioniero nei recinti della M-G-M-.  Ero sempre a due passi dal ristorante e dal barbiere. Il mio problema era semplice. Avevo due grandi divi e un paio di altri attori quasi altrettanto importanti e con loro dovevo fare i conti. Spencer Tracy, che interpretava il proprietario terriero, non riuscì mai a conquistare la simpatia del suo cavallo e neanche a farsi sopportare da lui.  Katharine Hepburn spuntava tutte le mattine con un costume d’epoca diverso. Erano entrambi persone gradevoli e divertenti e mi piaceva conversare con loro, quello che non mi piaceva era girare il film.  Ebbe quel che meritava: una pessima accoglienza. (Elia Kazan)

 

 

A Letter to Elia (2010)

di Martin Scorsese, Kent Jones con Martin Scorsese, Elia Kazan

 

Non tutti però sono concordi soprattutto adesso nel decretare pollice verso e  un giudizio così lapidario sull’attore. Per molti altri infatti,  il film ha in Spencer Tracy l'interprete ideale, ed Elia Kazan, qui alla sua seconda regia, colpisce già nel segno Io mi associo ovviamente a questa seconda fazione più nostalgica, perché le sensazioni che si risvegliano e si rinnovano in me ad ogni (re)visione, come ho già detto, sono ancora travolgenti come quel mare d’erba fluttuante sotto il  vento che tenta inutilmente di “piegarlo ai suoi voleri”.

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