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Visioni poetiche: Meduse
di ElsaGreer
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Film del 2007 di Shira Geffen e Etgar Keret, vincitore al 60° Festival di Cannes come opera prima, Meduse racconta di donne e delle loro solitudini, fragilità, forze.

Sullo sfondo di Tel Aviv, accudimento e abbandono come onde del mare o linee sinuose di un abito oscillano, sempre in bilico nell’arco della narrazione.

Tra le diverse storie che si sfiorano prevale quella di Batia, giovane donna sola, scontenta del proprio lavoro e della propria vita, ignorata dai genitori e costretta economicamente a vivere in un appartamento fatiscente dove, da qualche giorno, gocce d’acqua cadono ritmicamente dal soffitto, una perdita non casuale, sempre più copiosa, che ricoprirà interamente il pavimento. L’acqua, il mare, simboli per eccellenza di nascita e rinascite. Un filo conduttore, inizio e fine, come nella storia, l’incontro di Batia, in riva al mare, con una bambina, sola, vestita solamente del suo salvagente. Surreale, onirico, fuori dal tempo, quasi come una foto sbiadita. Batia non conosce la bambina, ma sa che ha 5 anni. Bimba che appare e scompare misteriosamente tra le diverse storie tragiche e coraggiose che evolvono.

 

 

 

Ed è nella sequenza finale il fulcro poetico di questo meraviglioso film. L’apice di una tenera e pacata emozione, l’anima che vibra fra le sfumature blu del mare, fra i versi di una splendida poesia:

 

Una nave dentro una bottiglia non potrà affondare mai
Né ricoprirsi di polvere
E’ carina da guardare mentre naviga nel vetro
Nessuno è tanto piccolo da poterci salire
Nessuno sa dov’è diretta
Il vento non può gonfiare le sue vele
Non ha vele
Solo lo scafo come un vestito
E sotto, meduse.
La sua bocca è asciutta
Nonostante sia circondata dall’acqua
Lei beve dal profondo degli occhi
Che non chiude mai
Morirà senza far rumore
Non si infrangerà sugli scogli
Lei rimarrà ferma e orgogliosa
E se non hai baciato lei mentre andavi via
Amore mio
Se puoi bacia me quando ritorni.

 

 

 

Si compie così l’ultimo incontro tra Batia e la bambina, scivolando sott’acqua. Batia si specchia negli occhi della piccola e riconosce sé stessa. Nel silenzio ovattato di un primordiale senso, limpida nella sua solitudine, Batia scopre di Essere. Si sente viva e unica. Nell’acqua che accarezza, in un mare che sembra cielo, principio e fine ora coincidono.

Gli occhi di una bambina che non ha più paura, ma che invita alla vita

Una donna in pace col proprio passato

Non perdersi più, seppur in mare aperto e risvegliarsi a riva, più viva.

Se sogno o realtà la solitudine è ora una barca senza più vele, non può più navigare.

 

 

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