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Ci sarebbero moltissime cose di cui parlare questa settimana. Fatti recenti, anticipazioni future. Ma una cosa sola tra le molte che ho letto o che ho appreso e che riguardano il nostro mondo mi ha fatto saltare sulla sedia, letteralmente.
È stato venerdì sera, guardavo Propaganda (a proposito, ma quant’è bravo Zoro?) ed è arrivata Ilaria Cucchi. E ha detto una cosa che mi è parsa confermare quanto avevo nel retro cranio da quando avevo appreso - il giorno prima, l’11 ottobre - della clamorosa svolta nel processo sulla morte del fratello, Stefano. Ilaria ha detto, al termine del suo breve primo, emozionato intervento: “Stefano mio, quanto dolore. Papà continua a guardare il film "Sulla mia pelle ogni sera", magari si illude di poter cambiare il finale e di stare ancora con te.” Al di là di ogni altra considerazione e nella sincera speranza che Giovanni Cucchi smetta presto di riguardare il film, quella chiusura mi ha colpito. Perché ho pensato che sì, che forse allora era proprio vero: che forse il film è servito. Che quei titoli di giornali all’apertura del festival di Venezia “Il film che riapre il caso Cucchi…” e che parevano in quel momento semplici invenzioni giornalistiche, alla fine erano vere. Anzi, forse ora possiamo dire che il titolo di giornale migliore potrebbe essere “il film che ha chiuso il caso Cucchi”. 
Non so se Francesco Tedesco, il carabiniere che ha finalmente deciso di vuotare il sacco e aprire quella porta trasparente - dietro alla quale si vedeva benissimo cosa ci fosse ma che un sortilegio troppo umano teneva irrimediabilmente chiusa -, abbia Netflix. Ma soprattutto non so se abbia visto il film di Cremonini. Ma scommetterei parecchio, quasi tutto, sulla possibilità che ciò sia successo, magari al cinema. E che tutti quei momenti che il film non racconta - il pestaggio, le omissioni, le complicità - e che lui invece conosceva bene siano tornate a lui come immagini vive, con tutta l'impellenza di una verità nota eppur negata. Ci sarebbero a quel punto tre versioni di quel film: quella che abbiamo visto noi tutti, quella che continua a vedere il padre di Stefano e quella che potrebbe aver visto Francesco Tedesco, l'unico capace di riempire gli spazi vuoti, di collegare i puntini e mostrare le figura intera. Le ultime due, assai private, sarebbero, sono anche, per forza di cose, tremendamente pubbliche.
Dopo le parole di Tedesco in quell'aula l'11 ottobre, dopo la sua chiara testimonianza, di colpo il film è divenuto quasi superato. Se Cremonini lo dovesse girare ora sarebbe già completamente diverso.

 

Alessandro Borghi

Sulla mia pelle (2018): Alessandro Borghi



Ora il tema, almeno per me, è che non ricordo di un film che abbia avuto un simile esito, un simile rimbalzo sulla realtà, influenzando il seguito degli eventi stessi di cui era testimonianza. Molte opere hanno ovviamente contribuito a modificare la realtà a vari livelli: culturalmente, socialmente, politicamente. Molti film hanno contribuito a costruire identità collettive. Ma a questa relazione immediata e reciproca tra causa-effetto, se è vera - e io penso che in una qualche misura lo sia - , non riesco ora a trovare precedenti. Ho provato anche a fare alcune ricerche, ma le cose che ho trovato erano comunque ascrivibili appunto alla categoria "film che hanno avuto un impatto sociale o culturale", il che in fondo potrebbe dirsi a buona ragione per tantissime opere, anche insospettabili. 
Con il senno di poi si capisce anche che quelle manifestazioni pubbliche nelle quali si è voluto proiettare Sulla mia pelle "illegalmente", giustificandosi con una sorta di necessità sociale, avevano più senso di quanto potesse sembrare a caldo. E si potrebbe anche ragionare, ma io lo farò solo en passant, sul fatto che ad avere un impatto così forte è stato un film che molti non hanno visto al cinema: un punto a sfavore di chi sostiene che la visione privata depotenzi se non cancelli la portata sociale e collettiva che il cinema ha sempre avuto. 
Sulla mia pelle è insomma un piccolo casus da analizzare: un film che per molti versanti non ha precedenti. E che ci offre molti spunti su cui riflettere, oltre ad averci dato l'occasione di far emergere la verità, ricordando un fatto che è fondante per la nostra civiltà: che le istituzioni sono nostre, le abbiamo create per difenderci e proteggerci. E non deve essere il contrario, mai.

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