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Quando non erano famosi (20) - Oliver Stone
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 Tutto iniziò col Vietnam, dove il newyorchese Oliver Stone, arruolatosi come volontario all’età di ventuno anni, prestò servizio per 15 mesi, prima in fanteria, poi in cavalleria. Precedentemente, prima dell'inasprimento della situazione bellica, era stato per sei mesi nel Vietnam del Sud  in qualità di insegnante di inglese.

Poco dopo il suo rientro negli USA, Oliver concretizza il suo amore giovanile per la letteratura, la musica e il cinema recitando nella commedia brillante The Battle of Love’s Return (1971), ma, soprattutto, realizzando il cortometraggio Last Year in Viet Nam (1971): un filmato autobiografico che ritrae la solitudine di un reduce dal Viet Nam sullo sfondo di una Manhattan austera e distante. Il film alterna scene di vita cittadina ad immagini esotiche, che si riferiscono a piante, animali e paesaggi della giungla tropicale. L’opera, priva di dialoghi, è però dotata di una colonna sonora “forte”, ottenuta mixando musiche tratte dal poema sinfonico Nelle steppe dell'Asia centrale di Borodin. Ad essa  si sovrappone la tragica poesia di Voyage au bout de la nuit (1932), l’opera prima dello scrittore Louis-Ferdinand Céline, di cui una voce fuori campo legge alcuni brani. Il romanzo narra, in prima persona, la storia di un ex-combattente francese del primo conflitto mondiale, per il quale, al devastante ricordo della trincea, si aggiungono, nel periodo tra le due guerre,  l’esperienza del colonialismo europeo in Africa e del capitalismo nell’America del Nord. Il protagonista ne ricava una visione desolatamente pessimistica dell’umanità, che viene insistentemente accostata all’idea della sporcizia e del marciume. Nella nota aggiuntiva, la traduzione del testo.

 

Ecco come, in una recente intervista, Oliver Stone commenta il suo esordio da regista: "Così tornai a casa, e feci una storia su ciò che era stato, per me,  tornare a New York City ed essere solo. E credo che  qualche verità, dal film, sia venuta fuori. È un film molto crudo […] avevo una certa sensazione, che,  stranamente, mi ricorda Taxi Driver, che Martin Scorsese avrebbe girato pochi anni dopo […] un senso di alienazione."

Tre anni dopo, vedrà la luce il suo primo lungometraggio: il poco onorevole La regina del male (1974), un filmetto horror giustamente caduto nell’oblio.

Il Vietnam ricomparirà, ad anni di distanza, nella trilogia cinematografica formata dal premiatissimo Platoon (1986), dal cult Nato il quattro di luglio (1989) e dal meno fortunato Tra cielo e terra (1993).

 

 

La precedente puntata di Quando non erano famosi:

(19) Gus Van Sant

 

Nota aggiuntiva

 

Traduzione del testo di Last Year in Viet Nam (da Céline)

 

È iniziato così. Ritornando dal Vietnam, ero un soldato, io non avevo mai detto nulla.

 Viaggiare è molto utile, fa lavorare l’immaginazione. Tutto il resto non è altro che illusione e fatica. Il nostro viaggio è totalmente immaginario. Ecco la sua forza. Esso va dalla vita alla morte. Uomini, bestie, città e cose, tutto è immaginato. È un romanzo, nient’altro che una storia fittizia. Lo dice Littré, che non si sbaglia mai. E poi tutto il mondo può fare altrettanto. Basta chiudere gli occhi. È dall’altra parte della vita. 

 C’è un momento, tra due generi di umanità, in cui si arriva a dibattersi nel vuoto. Questo è l’esilio, la terra straniera, questa inesorabile osservazione dell’esistenza quale essa è veramente, durante queste poche ore di lucidità, eccezionali nella trama del tempo umano, nelle quali le abitudini del paese precedente vi abbandonano, senza che le altre, quelle nuove, vi abbiano ancora sufficientemente abbrutito.

 In Vietnam avevo certo conosciuto un genere di solitudine piuttosto brutale, ma l’isolamento di questo formicaio americano prendeva una piega ancora più insopportabile.

 È da questo momento che noi vedemmo dispiegarsi, a fior di pelle, l’angosciante natura dei Bianchi, provocata, liberata, e infine del tutto sbracata, la loro vera natura, esattamente come in guerra. Fornace tropicale per istinti di rospi e vipere che vengono infine a rischiararsi nel mese di agosto, sui fianchi screpolati delle prigioni.  Nel freddo dell’Europa, sotto i pudichi grigiori del Nord, fuori dalle carneficine, si sospetta, solamente, la brulicante crudeltà dei nostri fratelli, ma il loro marciume invade la superficie non appena li stuzzica l’ignobile febbre dei Tropici. È allora che, disperatamente, ci sbottoniamo, e la sporcizia trionfa e ci ricopre per intero. È la confessione biologica. Non appena il lavoro ed il freddo non ci costringono più, e per un istante allentano la loro morsa, si può percepire, dei bianchi, ciò che si scopre degli ameni lidi dopo che il mare si è ritirato: la verità, pozze puzzolenti, i granchi, la carogna e l’escremento.

 Durante la giovinezza, le più aride indifferenze, le più ciniche villanie, si riescono a scusare come capricci passionali e come non so più quali segni di un inesperto romanticismo. Ma più tardi, quando la vita vi ha mostrato tutto ciò che essa può esigere quanto a cautela, a crudezza, a malizia, soltanto per essere mantenuta bene o male a 37°,  ci si rende conto, si è inchiodati, ben piazzati, per comprendere tutte le porcherie che può contenere un passato. Basta in tutto e per tutto contemplare se stessi e ciò che si è diventati in termini di immondizia. Niente più mistero, niente più stupidità, ci si è mangiati tutta la poesia essendo vissuti fino a qui. Un corno, la vita.

 La grande sconfitta, in tutto, è dimenticare, e soprattutto ciò che vi ha fatto crepare di rabbia, e crepare di rabbia senza mai capire fino a che punto gli uomini siano carogne. Quando saremo sull’orlo del baratro bisognerà non fare i furbi gli uni con gli altri, ma bisognerà anche non dimenticare, bisognerà raccontare tutto senza cambiare una parola, di quanto si è visto di più vizioso in mezzo agli uomini, e poi chiudere il becco e poi scendere. Questo basta, come lavoro, per una vita intera.

 Da lontano, il rimorchiatore ha fischiato; il suo richiamo ha passato il ponte, un’arcata, un’altra, la chiusa, un altro ponte, lontano, più lontano. Chiamava a sé tutte le chiatte del fiume, tutte, e la città intera, e il cielo e la campagna e noi, tutti noi che portava con sé, ed anche il fiume, tutto, che non se ne parli più.

 

La precedente puntata di Quando non erano famosi:

(19) Gus Van Sant

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