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"Un fastello di contraddizioni."
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"Un fastello di contraddizioni."



“Non lo sopporto; quando si occupano di me in questo modo, divento prima impertinente, poi triste e infine rovescio un’altra volta il mio cuore, volgendo in fuori il lato cattivo, in dentro il lato buono, e cerco un mezzo per diventare come vorrei essere e come potrei essere se...non ci fossero altri uomini al mondo.”

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https://luttazzifans.files.wordpress.com/2013/08/mentana-a-elm-street1.pdf

[...] Da quando ho aperto sul mio blog una Palestra di satira (www.luttazzi.it) questa riflessione sul dileggio fascistoide si è approfondita grazie al contributo di molti. Ogni giorno arrivano in Palestra circa duemila battute satiriche sull'attualità. Scelgo solo quelle che mi fanno ridere. Fra quelle scartate, alcune partecipano del clima fascistoide imperante. Si tratta di battute in cui si deride una vittima: se ne banalizza la tragedia vera, schierandosi coi carnefici. Esempi:
- Venduto il costume originale di Superman. In omaggio una sedia a rotelle e una macchina per respirare.
- Tumore seno: una vittima ogni 45'. A rischio i campionati di calcio femminile.
Qualcuno ha obiettato: «E allora la tua battuta sul feto abortito che sa di pollo crudo»? Come se l'argomento fosse il buon gusto. L'umorismo è sospensione del sentimento e può arrivare fino al grottesco più cinico; ma se sei cinico a spese di una vittima e ne prendi in giro la sofferenza, fai umorismo fascistoide, cioè eserciti una violenza. La battuta del feto abortito, invece, prende in giro me e l'idea che io, per esprimere quel giudizio, ne abbia assaggiato uno.
Mattia ha elaborato una variazione non fascistoide della battuta sul tumore al seno:
- Sempre più vittime per il tumore al seno. Per ovviare ai tagli sulla ricerca, sospeso il rimpatrio delle immigrate clandestine. (Mattia Manica)
Lo stesso accadrebbe (si tratterebbe cioè di satira, non di violenza) se a fare la battuta sul tumore al seno fosse una donna colpita da tumore al seno. Mai sottovalutare il valore del contesto: Richard Pryor può fare tutte le battute che vuole sui «niggers»; le stesse battute in bocca a Woody Allen diventerebbero razziste.
A questo proposito, va ricordato che la deontologia del comico consiste nel proporre solo battute che lo facciano ridere. E' proprio il criterio della «risata del comico» a far sì che egli possa essere giudicato per quello che è. Se fai battute razziste perchè ti divertono le battute razziste, sei un razzista.
Il punto non è se una battuta fa ridere o meno. Si ride infatti per il meccanismo comico e l'abilità consiste nell'imparare la tecnica migliore per scatenare il riflesso della risata; ma se questa abilità ti serve a veicolare un'idea razzista, sei un razzista.
Ecco un esempio di comicità nazista trovata da Ska: http://www.czeta.it/wp-content/uploa.../annefrank.jpg [link non più disponibile - Ottobre '17]
Il meccanismo di questa gag, nell'immediato, potrebbe farti ridere (per riflesso); se però poi ti compiaci della tua risata, e non te ne vergogni, sei un nazista. E' il riso di scherno su una vittima vera, non ipotetica, della cui tragedia vera ci si fa beffa.
 
Giorgio e Matteo mi scrivono di una scena dei «Griffin» nella quale Peter mangia patatine in modo molto rumoroso nel rifugio di Anna Frank mentre soldati nazisti si trovano a portata d'orecchio:


Giorgio: «Una battuta anche sacrilega su certi orrori può rendere ovvio l'orrore che resta reale anche quando il tabù viene infranto. Non è ragionevole supporre che certe battute rinforzino il senso critico del pubblico e lo responsabilizzino?»
Quell'esempio dei Griffin calza a pennello. E' proprio il tipo di banalizzazione della violenza sulla vittima (comicità fascistoide) cui mi riferivo. Tv e internet la stanno diffondendo nel mondo da diversi decenni attraverso la spensieratezza apparentemente innocua dei cartoon Usa, non a caso mentre quel governo si rendeva responsabile di massacri reali e criminali, stampa propagandistica appresso.
Questo tipo di comicità è insidiosa: funziona infatti per tutta una serie di motivi sociologici e culturali che ne inducono l'esigenza. Cresce l'ansia sul tuo futuro, minacce vere incombono, i problemi sembrano irrisolvibili, e tu senti il bisogno di una fuga nella deresponsabilizzazione e nella forza muscolare che l'idea fascistoide può fornirti a buon mercato: «Ti lamenti che non hai più diritti e che abbiamo ridotto la tua vita uno schifo? Guarda, c'è gente che sta ancora peggio di te: a loro abbiamo tolto anche lo status di esseri umani».
Occorre fare attenzione perché la regressione culturale è già oltre il livello di guardia, specie qua in Italia. Se uno ride di quella gag dei Griffin, deve porsi una domanda: fino a che punto la mia scala di valori, in questi anni, senza che neanche me ne accorgessi, si è corrotta?
«Una battuta anche sacrilega su certi orrori può insomma rendere ovvio l'orrore che resta reale anche quando il tabù viene infranto», scrive Giorgio.
No. L'analisi dev'essere meno approssimativa: la violenza sulla vittima non è un tabù che si può infrangere come niente fosse. Ne va della democrazia. E della civiltà. Infatti è comicità fascistoide. C'è un solo caso in cui si verifica quello che Giorgio auspica. Ne parlo in «Bollito misto con mostarda». E' il caso della «risata verde» dei cabaret di Berlino degli anni '30. Gli artisti si ribellavano alla violenza nazista esagerando la provocazione dell'orrore. «Su Hitler non mi viene in mente nulla» di Karl Kraus è un capolavoro di satira [*NdR] perché oppone orrore a orrore. E' satira, però, perché Karl Kraus sa come si fa e perché sappiamo chi è Karl Kraus. La stessa frase detta da Himmler o da Borghezio sarebbe una boutade nazista. (Valore del contesto e e della tecnica.)
Nell'intrattenimento passano sempre più spesso contenuti fascistoidi perché «funzionano» e funzionano per tutta una serie di motivi bio-politici (là dove la politica si intreccia al biologico e al senso morale) che rendono appetibile la fuga nel disumano che il fascismo e il leghismo offrono.
E' un attimo caderci, se non si sta attenti. Paolo ad esempio mi ricorda il caso recente del comico Michael Richards, il Kramer di Seinfeld:


L'attenzione dev'essere collettiva. E' uno dei sensi della Palestra. Fino a ieri nessuno si poneva il problema. Da oggi, almeno qualche migliaio di persone in Italia sanno che il problema c'è. E' un inizio.

Matteo replica: «So distinguere il bene dal male e non faccio dei Griffin il mio stile di vita, ma una volta a settimana mi piace ridere disumanamente. Ciò non fa di me un essere disumano. (...) Il contesto, come dici tu, conta molto: si tratta di un cartone animato. Americano. Del 2009. La tragedia dell'olocausto è di anni fa e trovo la libertà di riderne, nei limiti (contesti), una cosa positiva. Mi pare di averlo sentito da te "Se non trovi niente che ti offenda, non vivi in una società libera"».
Caro Matteo, una società libera ammette tutte le idee, anche le più trasgressive, ma non può ammettere l'idea violenta (quella fascista o nazista o stalinista). L'idea violenta è già stata giudicata dalla storia. E' un'idea che, quando va al potere, cancella i diritti umani e la democrazia. La trasgressione culturale dei tabù e dei pregiudizi («ciò che ti offende in una società libera») è legittima, ma non puoi paragonarla a un'idea violenta quale lo scherno della vittima. E' un equivoco tragico, AGGRAVATO dal fatto di venir banalizzato da un cartone animato: una superficialità che non solo tu, ma nessuno può permettersi, soprattuto in tempi reazionari come questi.

Scrive R.G.: «La scena dei Griffin non è scherno della vittima. Credo che lo scopo fosse quello di mostrare fino a che punto Peter sia incapace di trattenersi dal continuare a mangiare patatine, mettendolo nella situazione in cui l'importanza di fare silenzio è la più grande che lo sceneggiatore sia riuscito ad immaginare. Quindi l'oggetto della presa in giro è Peter, non gli ebrei».
No. Lo sceneggiatore usa l'olocausto per far ridere sulla fame di patatine di un cartoon. E' una banalizzazione nazista. La violenza non può essere eufemizzata. Anna Frank è una martire realmente esistita della persecuzione razzista nazista. Quella gag dei Griffin è una bestemmia. E' una catarsi comica blasfema. Non si può. Se la fai, sei dalla parte dei nazisti: non c'è modo di usare una vittima compiacendosene, e uscirne puliti.
Silvius nota: «La gag di Peter poteva essere riproposta in qualsiasi altra situazione. Si ride di rimando e paradossalmente senza neanche accorgersi del contesto. Questo è subdolo. Personalmente ho sempre mostrato parecchie critiche sulla struttura comica dei Griffin, critiche che sono state qualche tempo fa esposte in due puntate di South park».
Giusto. Quella gag dei Griffin è blasfema non perchè può venire fraintesa (come può capitare per altre gags) ma sempre. E' blasfemo che l'autore non si renda conto che NON SI PUO' usare Anna Frank per un anticlimax comico. Addirittura in un cartone animato. Dopodiché, il meccanismo comico funziona e tu ridi. ( La risata è un riflesso: scatta per il meccanismo, non per il contenuto come tutti credono ingenuamente. Il contenuto contribuisce alla salienza della battuta, ma da solo non ti fa ridere. Infatti quando un giornalista fa la parafrasi di una battuta o descrive una gag, la risata non scatta. ) Ma se subito dopo aver riso non te ne vergogni, la banalizzazione blasfema ha avuto il suo effetto. Hai riso da nazista senza sentirtene in colpa.
Un altro esempio fascistoide, sempre dai Griffin, lo ricorda Francesco: il figlio Stewie sta seviziando in garage un bulletto che gli aveva rubato la bicicletta. Entra la madre Lois.
Lois: -Che sta succedendo qui?-
Stewie: -Stiamo giocando...alla famiglia...-
Lois: -Ma quel bambino è legato!-
Stewie: -Ehm...è...la famiglia di Roman Polanski.-
Marco suggerisce, per contro, un esempio tratto da «Get Your War On» di David Rees: http://mnftiu.cc/blog/images/war.002.gif


Questa striscia è satira pura alla Karl Kraus. Risata verde. Non schernisce le vittime. Oppone all'orrore della violenza l'orrore delle conseguenze di quella violenza.
Qualunque battuta, su qualunque argomento cui uno è sensibile, provocherà disapprovazione e non riso. Il caso dello humor cinico o noir lo dimostra; ma, ripeto, non è questo il punto. Il punto è: se rido della violenza su una vittima reale; se mi compiaccio dello scherno su di lei; se la battuta si pone dalla parte del carnefice; la gag e la risata sono fascistoidi. E lo sono anche quando banalizzano l'atto del carnefice (scena dei Griffin). Appropriato anche l'esempio di Mario: il Male, durante il rapimento di Aldo Moro, pubblicò la foto inviata dalle brigate rosse con sotto la scritta «Scusate, di solito vesto Marzotto». Sfottò fascistoide.
Duccio allora mi chiede con quali meccanismi si stabilisca da quale parte una battuta stia. Trae un esempio dal mio «Adenoidi», l'intervista di Marzullo a Hitler:
MARZULLO: Mi tolga una curiosità, dottor Hitler, farebbe mai all'amore con una ragazza ebrea malata di AIDS?
HITLER: Solo dopo averla cremata.
Come si stabilisce da che parte sta la battuta? Nello stesso modo con cui è evidente che la battuta di Kraus è contro il nazismo e non a favore: quando la battuta si assume il carico del dolore, invece di banalizzarlo. La satira ha gli strumenti semantici per farlo. E lo fa.
Quello scambio è satira alla Kraus: attacca sia Hitler che Marzullo opponendo all'orrore del primo l'orrore più grande di quella domanda orribile, con effetto artistico di grottesco. (Sul grottesco, rimando a «Lepidezze postribolari», pagg. 330-333)

IL VALORE DEL CONTESTO. Entuan fa un altro esempio: nei giorni in cui Arafat lottava tra la vita e la morte, Letterman disse la battuta seguente: «Notizie dal mondo: Yasser Arafat aggrappato alla morte». Questa è satira o ha connotati fascistoidi?
Quella battuta di Letterman rivela il valore del contesto, in questo caso ideologico. Per chi considera Arafat uno che lottava per la liberazione della Palestina (buona parte dell'Europa e il mondo arabo), la battuta si pone dalla parte dello scherno ed è fascistoide. Per chi considera Arafat un terrorista (Letterman, Bush) la battuta attacca un bersaglio meritevole. Una battuta satirica rivela il tuo mondo di valori e ti giudica di fronte alla storia. Quella fotogag su Anna Frank è legittima, per un nazista. Quando si fa satira, l'ideologico è un contesto fondamentale.
Altro esempio di contesto: quello temporale. Angelo propone questo esempio, relativo a una notizia vera: «USA. Aereo si schianta su cimitero: 100.000 morti». Questa battuta, inopportuna se detta nei giorni della tragedia, a distanza di tempo diventa generica e si decanta in humor nero. Per questo motivo Lenny Bruce diceva: «La comicità è uguale a tragedia + tempo».
La regola di Bruce andrebbe integrata con la variabile «spazio», che è analoga a quella «tempo». Comicità = tragedia + spazio/tempo. A Tabloid feci una battuta su un disastro aereo alle isole Comore appena 4 giorni dopo il fatto. Il riferimento «isole Comore» lo spostava molto più in là nello «spazio/tempo», rendendola accettabile.
Faiv chiede perciò spiegazioni: «La comicità è uguale a tragedia + tempo. Allora un semplice lasso di tempo distingue humor nero da battuta fascistoide?».
No. «Tragedia + tempo» riguarda i temi nella loro genericità. Oggi, per esempio, puoi far ridere sul nazismo in senso generico o sulla tragedia dell'11 settembre. Quando però il comico americano Gilbert Gottfried fece in tv una battuta sull'11 settembre UNA SETTIMANA DOPO il fatto, la reazione del pubblico fu giustamente di angoscia e disgusto. Qualcuno fra i presenti urlò: «Troppo presto!»
Capitò anche a Lenny Bruce quando, subito dopo l'assassinio di Kennedy, in un nightclub di New York commentò il fatto con la battuta «Vaughn Meader è fottuto!» Meader era un comico che aveva riscosso grande successo con l'imitazione di John Kennedy. Bruce trasgredì alla regola «tragedia+tempo»: una regola relativa, non assoluta, che dipende dalla sensibilità del comico e del pubblico. Adesso, dopo tanto tempo, quella battuta non si capisce neppure, se non spieghi chi era Vaughn Meader. E' passato troppo tempo. Fra il troppo presto e il troppo tardi si situa la sensibilità dell'artista satirico. Con vari effetti di risata verde come corollario.
Su riferimenti generici al nazismo, Mel Brooks è riuscito a farci su un musical! (30 anni dopo la fine del nazismo = tragedia + tempo.) Perché non ha messo in scena Anna Frank? Perché diventava un dileggio della vittima: la regola «tragedia+ tempo» non vale MAI quando si strumentalizza una vittima REALE (Anna Frank). Qui non c'è tempo o contesto o variabile interpretativa che tengano: resterà SEMPRE una gag fascistoide. L'errore è trattare come «elemento del repertorio culturale» (cui si applica la regola di Bruce) una tragedia personale specifica (cui non si applica la regola di Bruce). In quella gag dei Griffin, la presa di distanza dal carnefice non c'è. L'autore ha preso l'episodio vero della vita di Anna Frank e lo ha usato come anticlimax. Roba da matti.
Va notato come, dopo l'oscar al film di Benigni, la comunità intellettuale ebraica di New York abbia deplorato la catarsi bizzarra di quel film e la strumentalizzazione dell'olocausto, usato solo come sfondo drammatico per la narrazione. Strumentalizzazione che invece è del tutto assente in un film sull'olocausto dai toni comici perfetti e struggenti, «Train de vie». Dopo la guerra, non a caso, Chaplin dichiarò che se avesse saputo dei campi di concentramento, non avrebbe girato Il grande dittatore. (Questo argomento fa crollare il castello sulla comicità edificato da Zizek di recente.) La tragedia non puoi affrontarla col comico, ma solo col grottesco.

Letto questo post, finalmente qualcuno (Lory86) apprezza la vera differenza fra quella mia battuta su Ferrara nella vasca da bagno (satira grottesca) e il monologo di Bill Hicks (Limbaugh nella vasca da bagno) cui si riferiva. Hicks schernisce Limbaugh usando in senso negativo l'epiteto «gay». La sua è una gag fascistoide.
Molte battute di Hicks lo sono: lasciandosi trasportare dal gusto per la provocazione, non sempre Hicks riesce a giustificare in modo satirico le enormità. Il risultato è che spesso cerca di far ridere a spese delle vittime. Altro esempio di Hicks, il pezzo sui due ragazzi morti suicidi perché fan di un gruppo metal. (Prima di tutto, riflettete un attimo, sono morti due fan dei XXX - non ricordo il nome della band - ... due benzinai di meno. Sicuramente non abbiamo perso la cura per il cancro). Qui Hicks si compiace della morte di due ragazzi. E' fascistoide. Sarebbe lo stesso se uno scrivesse questa battuta: «Il comico Bill Hicks è morto. Un comico in meno. Be', non è che abbiamo perso la cura per il cancro».
Altri scoprono l'acqua calda e mi fanno gli esempi delle battute finto-razziste di Sarah Silverman e Andy Kaufman. Il loro procedimento ironico, però, è evidente: non si schierano coi razzisti. Rilancio allora con un caso molto più ambiguo (scivoloni frequenti): quello di Borat (Sacha Baron Cohen). Cohen vorrebbe servirsi dello stesso stratagemma di Kaufman (incarnare la stupidità razzista, ironia), ma lo fa in candid camera con persone reali, che se lo meritino (razzisti) o no (femministe). Infatti Borat, negli Usa, è stato adorato dal pubblico di destra. Pericolosissima eterogenesi dei fini! Che non dipende dalla variabilità delle interpretazioni possibili, ma da una defaillance nella tecnica satirica. Le polemiche sul nuovo film, «Bruno», non mi hanno sorpreso.

In molti mi hanno chiesto se, in Rai, quella a Vauro fu censura giusta, visto che era passato poco tempo dalla tragedia abruzzese. Non facciamo confusione: il bersaglio della vignetta di Vauro non erano le vittime, ma il governo Berlusconi. Era satira. La propaganda berlusconiana allora ha montato ad arte il caso, strumentalizzando contro Vauro il dolore della tragedia per tappargli la bocca. L'operazione squallida è la loro.
Altri desiderano che spieghi il mio racconto su Moro. Si tratta di satira grottesca che non si schiera coi carnefici, ma con la vittima. E non evoca la risata spensierata, ma la riflessione amara. Il grottesco («risata verde») è l'unico genere artistico in grado di esprimere il dolore per una tragedia. Occorre competenza anche da parte del pubblico (e dei critici). Il gusto comico uno deve educarlo.
Altri, infine, citano la mia frase «La satira informa deforma e fa quel cazzo che le pare» intendendola come un lasciapassare per ogni nefandezza. Al contrario, quella frase indica una assunzione di responsabilità: la tua satira è, innanzitutto, un giudizio su di te.

©®™ Daniele Luttazzi

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L'unico punto (nodale) su cui non concordo con Luttazzi - che parla dei nostri (2009-2013-2017) come di “tempi reazionari”: e quali non lo sono? - è questo: MacFarlane presuppone una certa dose e un certo grado di consapevolezza dai suoi spettatori, se essa viene a mancare in partenza questa deficienza non gli può essere imputata. La sua è assenza di responsabilità? Per me è l'esatto contrario: opera sullo spettatore una responsabilizzazione senza scampo.

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[*NdR: "È vero che Kraus scrisse: “A proposito di Hitler non mi viene in mente nulla”. Ma era la prima riga di un libro su Hitler e i nazisti. Pubblicato postumo, “La terza notte di Valpurga” esprime un giudizio coraggioso e lucido sui nazisti, e secondo Daniel Kehlmann è l'opera migliore di Kraus. A me, tuttavia, sembra un esercizio di disperazione. Il problema, come spiega [Clive] James, è che i nazisti non mentivano (dieci anni prima della Soluzione Finale dicevano già apertamente cosa intendevano fare agli ebrei), oppure mentivano così spudoratamente che non c'era bisogno di smascherarli con la satira, e in genere erano troppo pericolosi per poterli prendere in giro. E così l'ultimo libro di Kraus non è divertente come molte sue opere precedenti, e le sue conclusioni - che i nazisti erano crudeli e folli - non hanno la stessa pungente attualità delle sue idee sulla letteratura o della sua critica dei media moderni." - J.Franzen]      

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Barbara Sukowa

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“È nella natura delle cose che ogni azione umana che abbia fatto una volta la sua comparsa nella storia del mondo possa ripetersi anche quando non appartiene a un lontano passato.”

“Le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, né demoniaco né mostruoso.”

Hannah Arendt - "Eichmann in Jerusalem: a Report on the Banality of Evil" - 1963

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