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I prigionieri del sogno

Regia di Julien Duvivier vedi scheda film

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La recensione su I prigionieri del sogno

di LorCio
8 stelle

Girato in un particolare momento della storia francese, Prigionieri del sogno appartiene ad una categoria per certi versi indecifrabile, che il titolo italiano tende a sottolineare: non è realismo poetico, ma neppure naturalismo, è piuttosto un film interno al filone sentimentalista, che fa del “sogno” un qualcosa di profondamente concreto, che ha a che fare con la realizzazione personale, la gloria professionale, la felicità insomma. I prigionieri sono gli ospiti di una casa di riposo di cui è minacciata la chiusura: una bellissima galleria di facce segnate dall’amore, spesso non corrisposto, per l’arte della recitazione, colte nel frangente in cui il teatro sta decadendo per colpa anche del cinema, legate inesorabilmente al passato tanto nelle gioie estemporanee quanto nei dolori eterni.

 

 

I tre personaggi più approfonditi rappresentano proprio tre dimensioni dell’attore sul viale del tramonto: Marny è il grande attore straziato dalla sfiducia nei confronti della vita (Victor Francen); Saint-Clair è l’istrione egocentrico, narcisistica, un Don Giovanni alienato e bipolare (Louis Jouvet); Cambrissade è l’attore senza talento in perenne attesa della grande occasione, che puntualmente mancherà (Michel Simon grandioso). Tuttavia, accanto a loro, esistono anche attori “normali” (i dolci sposini anziani), che stanno lì a ricordare la differenza tra vita e finzione. Un film magari non troppo compatto, forse sfilacciato nella sua affollata ma generosa galleria di glorie d’oltralpe, ma commovente, elegante, sognante benché realistico, intimamente immerso in una dimensione sospesa: quasi un film teorico se non fosse più vicino alla prosa che alla poesia, quasi una favola o una messinscena teatrale sull’arte che simula la vita.

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