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Che ho fatto io per meritare questo?

Regia di Pedro Almodóvar vedi scheda film

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La recensione su Che ho fatto io per meritare questo?

di kerouac
8 stelle

Vicenda lineare e certamente incredibile come nella tradizione del regista spagnolo, eppure nella sua semplicità, nella sua narrazione pacata e mai obiettiva, nel suo squadrare situazioni apparentemente di scarso interesse, sembra fatta apposta per meditare con attenzione a quello che abbiamo visto, magari abbandonando quella patina di costante spensieratezza che crediamo di aver vissuto per poco più di un’ora e mezza.
Il film di Almodovar ci offre infatti ben più che una trattazione umoristica della nevrosi : è un altro passo della sua personale tragicommedia, di vicende disperate narrate con piglio che fanno sorridere, ma che in realtà celano un significato più profondo, uno sguardo spietato che parla con leggerezza di drammi e svolte personali, riciclando in parte quella semplicità sbarazzina presente in molte opere di Truffaut, come "Baci rubati" o "Non drammatizziamo … è solo questione di corna".
L’importanza del ruolo che la contemporaneità svolge oggi nelle persone viene offerto dal filmaker nell’omaggio a "Splendore nell’erba" contenuto nel film: se Kazan parlava di vite continuamente trattenute, di un cinema in cui le piccole cose possono scuotere le corde dell’anima, Almodovar descrive come le grandi tragedie e le immoralità vengano liberamente sbandierate senza pudore, lasciando indifferenti gli altri, probabilmente perché individui costretti a confrontarsi anche loro con i propri difetti e le proprie debolezze. E se in "Cosa ho fatto io per meritare questo?" la straordinaria vitalità umana visibile in alcuni lavori magnifici dell’autore si fa volutamente più intelligente per catturare anche le sensazioni più grigie della vita urbana, il contatto con la realtà sembra sostituirsi ad essa, disegnare traiettorie in cui all’ emozione si preferisce un’ordinata osservazione del disagio in cui riversiamo, la constatazione che le sofferenze restino nonostante gli sforzi che impieghiamo per evitarle. Ma Almodovar non fabbrica semplici pagine di realismo e combina, come un cuoco innamorato dei propri ingredienti, tali concretezze in un andirivieni di sentimenti e sensazioni, situazioni grottesche e surreali, che animano il film anche sotto il profilo puramente narrativo, nonostante "Cosa ho fatto io per meritare questo?" rimanga notevole più per la coesione dell’insieme, in controtendenza con altre opere dell’autore eccessivamente barocche, e soprattutto per le sue sfumature contenutistiche, per la naturalezza di fondo che potrebbe erroneamente essere interpretata come superficialità.
Generalmente sottovalutata, questa pellicola vale veramente la pena di essere vista, un fratello minore di "Volver" che stupisce per la sua follia edulcorata ma accettata, la sua spontaneità trascinante e, inevitabilmente, per la straordinaria Maura. Forse, con "La legge del desiderio" (ma anche "Matador"), il film della prima svolta per Pedro.

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