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Rocco

Regia di Thierry Demaizière, Alban Teurlai vedi scheda film

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La recensione su Rocco

di Spaggy
7 stelle

Sin da piccolo sapevo che avrei dovuto venire a patti con il diavolo che ho tra le gambe”. Inizia con tale perentoria affermazione Rocco, il documentario che i cineasti francesi Thierry Demaizière e Alban Teurlai hanno voluto dedicare alla figura di Rocco Siffredi, simbolo maschile dell’hard contemporaneo. Prima di Siffredi, all’anagrafe Rocco Tano, pochissimi altri attori sono entrati nell’immaginario collettivo: forse solo John Holmes ha infranto i confini del porno per imporsi come fenomeno di costume, non raggiungendo tuttavia la popolarità che il Siffredi ha conquistato in tutto il mondo. Se dagli anni Settanta alla fine dei Novanta, le attrici erano coloro che diventavano famose per il loro impegno in altri campi (in Italia basta ricordare Cicciolina e Moana Pozzi) e per la sapiente gestione del proprio corpo, dagli anni Novanta in poi il nome di Siffredi comincia a uscire dal circuito dell’hard per manifestarsi in televisione e al cinema. A renderlo famoso sono sicuramente le dimensioni ma non va sottovalutata la sua “recitazione”. Girare un film con Rocco vuol dire innanzitutto prepararsi alla sua “violenza”, ai suoi modi rudi e al suo sesso selvaggio. Lo confermano le sue partner sul set, che necessitano quasi sempre di qualche giorno di riposo prima di ritornare a interagire con l’altro sesso ma felici di interagire con lui. Con migliaia di titoli vietati ai minori già nel cassetto, Rocco viene poi sdoganato dal cinema d’autore francese e usato nelle commedie natalizie italiane, frequenta i salotti televisivi di Barbara D’Urso e finisce sull’Isola dei famosi, diventando in tal modo personaggio familiare.

Rocco Siffredi

Rocco (2016): Rocco Siffredi

L’uso dell’aggettivo familiare non è inconsueto. Perché, nel privato, Rocco è un uomo di famiglia, attaccato alla moglie, ai due figli e alla figura materna. Ma è anche un uomo come tanti altri, tormentato dai propri demoni interiori e da un’infanzia povera segnata dalla morte del fratello Claudio e dalla conseguente arresa della madre, un “generale” che per trent’anni non riuscirà mai a riprendersi dal dolore. Mentre accenna poco ai rapporti con il padre e con il resto dei fratelli, Rocco si sofferma sul legame che aveva con la genitrice e sugli effetti che la malattia prima e la morte dopo della madre hanno sortito in lui. La figura della madre nei suoi pensieri è gradualmente sostituita da quella della moglie Rozsa Tassi, sposata nel 1993 e madre dei due figli Lorenzo e Leonardo. Il rapporto con Rozsa è quasi simbiotico, condividono ogni scelta e affrontano ogni problema, anche il più spinoso, come la dipendenza di Rocco dal sesso o la sua volontà di smettere di recitare.

Muovendosi tra Budapest, Los Angeles e Ortona, le tre città in cui Rocco nell’ordine vive, lavora ed è nato, Rocco cerca di capire chi sia Siffredi oggi e quale immagine abbia di se stesso. Non vuole ripercorrerne la carriera ma vuole fare il punto sulla sua dimensione attuale, sul superdivo che ha scelto di dire “basta” per ritornare a 52 anni a vivere come ogni altro uomo sulla Terra. Si seguono così momenti degli ultimi due anni, passando dai casting per altre produzioni alla scelta di interpretare come un Cristo in croce un’ultima pellicola in cui le donne, da sempre “sacrificate” nei suoi film, hanno il sopravvento e ottengono vendetta. Con al fianco da sempre il cugino Gabriele, che lo ha seguito nell’hard e con cui ha un continuo rapporto di complicità e contraddizione, Rocco richiama al suo fianco la sua partner per eccellenza, l’attrice Kelly Stafford, che a differenza sua che sta per mollare rientra su un set dopo una pausa durata più di otto anni, e convoca James Deen, come in un ideale passaggio di consegne.

Tanto spietato mentre fa sesso quanto tenero e ombroso quando termina l’ultimo ciak, Siffredi si mostra emotivamente, lasciando emergere un lato inaspettato di una personalità sì prorompente ma anche sensibile. Come se la durezza dei suoi modi non fossero altro che una facciata per nascondere le sue debolezze. Come se la macchina lasciasse il posto all’uomo, in cerca ancora di un cammino da seguire dopo un’intera esistenza passata nel segno dell’eccesso. Se è vero che Rocco non ha pentimenti o rimpianti, è anche vero che non riesce più a fare i conti con un modus vivendi che rischia di far male alla sua Rosza e ai suoi figli.

Il merito di Demaiziére e Teurial è quello di non esser caduti né nell’agiografia né nel voyeurismo, rimanendo sempre consapevoli sul quando staccare una ripresa e sul dove fermarsi. Perché per la prima volta Siffredi ha l’anima nuda e non solo lo strumento che lo ha reso un’icona.

Rocco Siffredi

Rocco (2016): Rocco Siffredi

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