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L'esercito più piccolo del mondo

Regia di Gianfranco Pannone vedi scheda film

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La recensione su L'esercito più piccolo del mondo

di EightAndHalf
4 stelle

Quella delle Guardie Svizzere è un’istituzione importante in tutto il mondo, dall’evidente valore simbolico, che avrebbe potuto interessare anche Frederick Wiseman. Ma ci accontentiamo di Gianfranco Pannone. Teoricamente si tratta di uno dei primi film destinati al grande schermo prodotti in Vaticano, ma quando ci si accorge che la produzione è a cura del CTV, Centro Televiso Vaticano, si capisce quale può essere l’unica possibile destinazione del film. Girato con l’intento di seguire alcuni mesi di apprendistato e poi lavoro di ragazzi per lo più stranieri in trasferta vaticana per indossare le famose vesti multicolori, L’esercito più piccolo del mondo vanta una struttura documentaristica scontata, dal puro intento illustrativo, che dal punto di vista cinematografico può essere tranquillamente definita nulla. Si cerca di creare affezione nei confronti dei giovani protagonisti, che manifestano più volte tutta la loro ammirazione per la ferrea disciplina cui devono sottostare, ma il linguaggio sovente lezioso di Pannone rende tutto un po’ più arido, un po’ più superfluo, come a classificare l’operazione come la “cosa che ancora nessuno aveva fatto, e che finalmente possiamo vedere”. Bastavano le poche righe di un qualunque testo scritto.

 

scena

L'esercito più piccolo del mondo (2015): scena

 

Continuando a porre la domanda sull’effettivo valore delle Guardie Svizzere, Pannone si inoltra nelle piccole quotidiane conversazioni e negli allenamenti e turni di tutti i giorni forse con l’illusione di saper scomparire. L’utilizzo della voce dei giovani montata fuori sincrono rispetto ad immagini spesso al confine sfiorato o sforato del cartolinesco è giusto la tessera in più per abbassare la qualità di un film che può costituire una curiosità per chi vorrà togliersela, ma che, anche proponendo il significato più profondo di questa centenaria istituzione, sembra quasi il finale da volemosi bene di una commedia qualunque. Caso tipico di documentario che abbassa involontariamente l’importanza dell’argomento filmato, perdendo così in rigore – nel genere, nonostante l’eventuale ironia (qui comunque assente), necessario. Diventando quasi una pubblicità.

 

 

 

 

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