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Il bandito dagli occhi azzurri

Regia di Alfredo Giannetti vedi scheda film

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La recensione su Il bandito dagli occhi azzurri

di degoffro
6 stelle

Poliziesco dignitoso, ma tutt'altro che irresistibile e trascinante, firmato da Alfredo Giannetti, celebre sceneggiatore per Germi (ha vinto l'Oscar per "Divorzio all'italiana"), Loy (suo lo script dell'ottimo "Un giorno da leoni") e Steno ("Febbre da cavallo"), non altrettanto abile come regista. La prima parte è la migliore. Puntuale ed accurata, infatti, è la descrizione del protagonista Renzo Dominici. Di giorno ordinario, meticoloso e mite impiegato, per di più storpio, mezzo cieco e con parrucchino. A casa però la sera (si) prepara, determinato, per il colpo della vita e mostra la sua vera identità di fascinoso, intelligente ed atletico uomo di mezza età, tutt'altro che dimesso ed ingrigito: il commissario sulle sue tracce lo definisce "biondo, occhi azzurri, carino, incensurato e trasformista". Dal momento in cui Dominici realizza la rapina che gli frutta oltre due miliardi delle vecchie Lire, il film rivela però tutta la fragilità di una improbabile sceneggiatura piena zeppa di ingenuità ed approssimazioni, oltre che la clamorosa fallacità del piano, non proprio perfetto, elaborato dal protagonista. Nel giro di poche ore, infatti, tutti hanno già capito l'identità del misterioso bandito dagli occhi azzurri. Dal vigilante che lo ha riconosciuto dai gemelli della camicia e che finisce giù da un ponte, alla cameriera Stella (una Dalila Di Lazzaro senza dubbio fascinosa, ma quanto a recitazione...aiuto!!) che invece è arrivata a Dominici per colpa del suo...anonimo accendino, perso durante la fuga. Con il suo convivente cercherà di guadagnarci qualcosa ma l'amante finirà chiuso nella cella frigorifera, lei se la caverà solo con tanta paura, risparmiata da Dominici. Dall'omosessuale Riccardo, massaggiatore in una sauna e che... fiuta Dominici dal profumo, alla madre del protagonista, rimbambita e muta da anni, capace però di riconoscere il figlio e riacquistare la parola vedendone semplicemente l'identikit sui giornali (episodio decisamente risibile). Il ritmo è sostenuto (bella ad esempio la sequenza dell'inseguimento tra Riccardo e Dominaci), ma ci sono situazioni piuttosto goffe (il tentativo di seduzione di Dominaci da parte di una vogliosa Stella in ufficio), altre superflue (ancora Stella impegnata con il suo collega in quotidiani appuntamenti sessuali in magazzino), altre ancora appena abbozzate (il rapporto di Dominaci con la madre, relegato ad un fugace flashback) ed alla lunga il film si fa ripetitivo con i diversi personaggi che cercano di rubare il bottino al protagonista, ma finiscono tutti scornati. Il finale poi è di una prevedibilità e di una piattezza quasi infantili: sarebbe, per esempio, stato più originale se il protagonista, dopo avere buttato in un vagone merci la sacca piena di soldi non fosse riuscito a salire su quel treno, vedendo così volatilizzarsi all'ultimo il bottino tanto agognato. Quanto alla credibilità: non è pervenuta. Franco Nero è al solito imperturbabile, calato comunque perfettamente nel ruolo, scritto su misura per le sue corde. A rimanere nella memoria però è un giovanissimo e già incisivo Fabrizio Bentivoglio (il gay che pedina Dominici). Non orribile nel complesso, ma in quegli anni il genere ha prodotto risultati decisamente più intriganti e riusciti. Il regista sceneggiatore Giannetti aveva già scritto per Franco Nero, l'anno prima, il mediocre "Il cacciatore di squali" di Enzo G. Castellari. Musiche di Ennio Morricone, prodotto dallo stesso Franco Nero.
Voto: 6

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