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Suicide Squad

Regia di David Ayer vedi scheda film

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La recensione su Suicide Squad

di Utente rimosso (PoorYorick)
1 stelle

Ancora un sostanziale nulla di fatto. Al terzo tentativo, nella rincorsa a distanza nei confronti della rivale Marvel, la DC Comics continua a non trovare la cosiddetta quadra. Fretta, confusione, disunità di intenti. La trilogia di Nolan rimarrà purtroppo una parentesi. Di lui rimangono solo i propositi, l'ambizione, il modello irraggiungibile per realizzare un film su di un supereroe dei fumetti che sia davvero per adulti, d'autore quasi. Ma Nolan è difficilmente replicabile.  Non lo è David Ayer al quale l'ingrato compito di sceneggiare e dirigere questo Suicide Squad, impresa disperata consistente nel mettere su dal niente una sporca mezza dozzina di brutti ceffi dalle capacità (pseudo)straordinarie al servizio di sua maestà il governo americano (nella persona di una cattiva da barzelletta Viola Davis), per prevenire eventuali minacce ultraterrene. E non basta doverli introdurre tutti, ma allo stesso tempo è necessario da un lato calarli nell'universo che fu prima di Superman e che poi ha dovuto condividere con Batman e, dall'altro, inventarsi un cattivo, da contrapporre loro, all'altezza. Ora, non abbiamo ancora capito che razza di minaccia possa rappresentare Superman, essendo il prototipo del perfetto boyscout che corre per salvare un gattino su un albero, e di conseguenza ancora ci sfugge il motivo per cui Batman avesse tanta voglia di sconfiggerlo. Ma se fosse davvero una minaccia, qualcuno ci potrebbe spiegare cosa potrebbero contro di lui un cecchino, una sciroccata con una mazza da baseball e un cretino col boomerang? La questione tuttavia non si pone perchè di Superman nemmeno l'ombra e il nemico della Suicide Squad lo si deve trovare dentro la Suicide Squad stessa, in quello che si configura come il classico esempio di "cane che si morde la coda" o, altresì detto, un monumento alla più totale gratuità. Là dove la Marvel programma in dettaglio piani quinquennali, la Dc sembra procedere a tentoni, improvvisando in corso d'opera (qua si parla addirittura delle scene con Batman aggiunte in un secondo momento). Là dove ai film di Nolan si potevano imputare buchi di sceneggiatura per la sovrabbondanza di temi e spunti, nel film di Ayer i buchi si imputano alla ragione opposta, ossia ad una sceneggiatura inesistente, risibile pretesto di cui non si percepisce l'urgenza o la necessità se non quella fastidiosa che serve a giustificare i sequel, il prosieguo del brand, il proliferare di gadget e giochini da vendere. Lo stesso discorso si può fare anche per la Marvel ma i film Marvel sono comunque godibili e ben realizzati, caratterizzati da un' estrema coerenza di continuità e di stile. I protagonisti di Suicide Squad invece non sa chi siano, non si sa da dove saltino fuori, non si sa cosa vogliano, appiattiti sulle loro peculiarità qualificanti. Si salvano Margot Robbie e Will Smith, gli unici a cui sono state riservate due righe di copione, il resto non pervenuto, compreso il tanto magnificato Joker di Jared Leto che può essere preso ad emblema del fallimento dell'intera operazione, recitazione sovreccitata senza un perchè, formalismo barocco affogato in un vuoto pneumatico (distanze siderali sia da Heath Ledger, sia da Jack Nicholson). Senza infierire su incongruenze da scuola elementare (del tipo: ma quali entità sovrannaturali muoiono per l'esplosione di una bomba? O quali sparando loro in testa), Ayer non riesce nemmeno a trovare un registro armonico, discordante tra l'ironia colorata del pop, lo humor nero e sboccato del politicamente scorretto, il romanticismo dark da dramma gotico, il buonismo sentimentale/retorico per famiglie. L'esito è un pastiche che funziona solo come pop corn movie alla fine del quale allo spettatore resta solo un quesito: ma a me che me ne frega?

 

 

Suicide Squad si apre con due fenomenali sequenze che ci presentano le due superstar che tengono in piedi la baracca. Will Smith è Deadshot, un tizio che spara benissimo e di mestiere ammazza la gente, mentre Margot Robbie è Harley Quinn, una tizia tutta pazza appesa a testa in giù. Proiettili in testa e follia negli occhi: David Ayer ci ha appena spiegato che i suoi due personaggi più importanti sono cattivi cattivissimi! Sta andando tutto alla perfezione.

Suicide Squad prosegue introducendo dal nulla Viola Davis che è Amanda Waller, una tizia del governo che – deduciamo un po’ a fatica – sta provando per l’ennesima volta a farsi approvare quello che, con il senno di poi ma anche con un po’ di buonsenso del prima, non è difficile identificare come un piano del cazzo: dopo l’uscita di Dawn of Justice il mondo della DC è sull’orlo di una crisi di nervi, e l’unico modo per tenere a bada i potenziali futuri Superman che potrebbero sbarcare sulla Terra è riunire una squadra di cattivi cattivissimi, disposti a fare quello che nessun buono buonissimo farebbe mai.

È significativo che tutto il casino da risolvere in Suicide Squad sia causato da uno di questi cattivi e che di fatto il film si crei da solo la scusa per esistere?

Amanda Waller prosegue facendoci fare la conoscenza dei suoi asset. È qui che assistiamo a due fenomenali sequenze che ci presentano le superstar che tengono in piedi la baracca, e cominciamo a sentirci un po’ presi per il culo. Altri proiettili in testa, gente appesa e la follia negli occhi: è quasi come se avessimo già visto tutto dieci minuti fa! Alla fine della parata, sia Deadshot sia Harley Quinn ci tengono a ribadire che loro sono cattivi cattivissimi.

Lo ribadiranno per tutto il film, a intervalli regolari e accompagnando spesso le dichiarazioni d’intenti con gesti simbolici e pregni di significato come “spaccare una vetrina” o “fare la faccia cattiva e serrare le labbra”. È d’altronde importante che lo ribadiscano visto che Suicide Squad è un film che fa il possibile e l’impossibile per dipingere i suoi protagonisti come eroi e vittime, il governo come corrotto e cattivo cattivissimo e il teorico vero villain della situazione come un boss di Final Fantasy. È difficile passare per malvagio se passi un’ora sotto la pioggia a sparare a mostri senza volto, e nel tempo libero pensi alla tua famiglia o a tua figlia o al tuo amore o a quanto crudele è stata con te la società civile.

Ecco perché è importante ogni tanto ribadire di essere cattivi!

Ah! Da qualche parte in questo bordello senza costrutto c’è anche il Joker. Sigla!

Fingiamo per un attimo di poter ignorare il fatto che, come sto facendo io in questo pezzo, anche Suicide Squad dedica il suo intero primo atto a presentare e ripresentare i personaggi – con picchi di ridicolo quando si parla di Deadshot e Harley Quinn, chiamati sul palco tre volte in meno di mezz’ora per consentire ad Ayer di appiccicar loro addosso anche qualche minuto di Batman e Joker.

Dico “Ayer” ma è chiaro che, almeno se parliamo di scrittura e montaggio, il poveraccio ha avuto pochissimo a che fare con quello che è arrivato al cinema. Voglio dire, se le schedine di presentazione del cast esistessero come clip-prequel su YouTube invece che come Power Point animato pre-film ne loderemmo la creatività e lo stile e financo il coraggio, visto che tutto si può dire di Ayer tranne che la sua carriera sia costellata di colori psichedelici, one-liner deliranti e personaggi pazzi pazzissimi che sputano fuoco. Lui la materia la affronta anche con classe – anche se non senza un certo nervosismo, e infatti le cose vanno meglio dal secondo atto, quando il film diventa il più classico dei “gente con fucili che si muove sotto la pioggia in una zona di guerra” –, poi però il suo girato viene riassemblato sotto forma di trailer di mezz’ora con tanto di colonna sonora diegetica a uso playlist di Spotify (The House of the Rising Sun quando compare una galera, Sympathy for the Devil quando compare Margot la matta, Seven Nation Armyquando la Squad è finalmente riunita…), i suoi personaggi ritoccati per far felici tutti soprattutto l’agente di Will Smith che non vuole vederne danneggiata l’immagine di “papà d’America”, il suo villain depotenziato dalla maledizione della CGI brutta… insomma non è giusto prendersela con Ayer, che si è solo trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato.

La cosa che fa incazzare è che i membri di questa benedetta Squad sono, sarebbero, potrebbero essere, dei gran personaggioni! Jai CourtneyJay HernandezAdewale Akinnuoye-Agbaje (cioè Boomerang, Diablo e Killer Croc) sono tutti in parte e tutti molto divertiti da quello che stanno facendo, e se avessero un po’ di spazio per respirare e non fossero costantemente schiacciati sotto il peso dell’irrinunciabile Passato Tormentato© potrebbero dare a Suicide Squad quel tono da armata Brancaleone degli stronzi di cui il film avrebbe disperatamente bisogno.

Invece c’è quello che sputa fuoco che però non vuole sputare più fuoco perché ha bruciato viva la sua famiglia, c’è quello che sembra un coccodrillo gigante che poveretto è cattivo perché da piccolo lo prendevano in giro, c’è l’insostenibile Will Smith che vuole solo una cosa, vuole che la sua figlioletta possa crescere felice e sicura in un mondo in cui il bene trionfa sempre e gli innocenti non soffrono mai, il che da un lato è, come dire, complicato da conciliare con il suo mestiere di killer prezzolato, dall’altro ci regala uno dei punti più bassi del cinema AAA 2016 sotto forma di una scena in cui Deadshot potrebbe sparare a Batman e farlo fuori ma si trattiene perché non vuole che la sua bambina lo veda.

Poi c’è Harley Quinn che è, sarebbe, potrebbe essere l’unico personaggio al posto giusto dell’intero film perché è molto semplicemente matta come un cavallo, e dunque giustificata a fare un po’ di quell’anarchico casino che è tristemente assente da Suicide Squad. Purtroppo, e non sto dicendo che Margot Robbie non sia una fuoriclasse assoluta che ruba la scena a chiunque e che sostanzialmente è protagonista di un film a parte che è meglio di Suicide Squad per mille motivi diversi, perché lo è, ma purtroppo per ancorarla alla realtà del film Ayer le appiccica addosso il Joker e la trasforma, con un rapido colpo di spugna, da mina vagante a principessa in pericolo, e di conseguenza il succitato Joker nel cavaliere bianco di turno.

Vorrei parlare a lungo del Joker e di quanto cane sia Jared Leto in overacting costante, con quell’approccio da secchione primo della classe che grida HO STUDIATO A LUNGO PER ESSERE COSÌ PAZZO GUARDATE COME SONO PAZZO a cui manca anche un’oncia, un’ombra, una molecola di spontaneità e personalità.

Vorrei anche prendere a schiaffi quello che, tanti anni fa, ha convinto Jared Leto di essere un grande attore, ma già che ci siamo vorrei anche un castello tra i monti e una fornitura a vita di Red Bull.

Vorrei, dicevo, parlare a lungo del Joker più anonimo e monodimensionale che il cinema abbia mai conosciuto, un presagio di sventura per tutti i futuri film DC, il problema è che c’è pochissimo da dire: lui ama Harley, Harley ama lui, Harley è in pericolo, lui la vuole salvare. Ecco, ho finito di parlare del Joker.

Forse bisognerebbe invece parlare del cattivo! E non sto parlando del Vero Cattivo Che In Realtà È Il Buono© (Amanda Waller è l’unico personaggio che faccia qualcosa che si possa realmente etichettare come “malvagio”), ma del MacGuffin archeomagico che serve per giustificare tutta la baracconata. Cara Delevingne è June Moon, un’archeologa posseduta dallo spirito di un’entità antichissima e molto incazzata, e il suo piano consiste nel creare un’enorme vortice di CGI brutta nel cielo e trasformare tutti gli sventurati che le passano a tiro in mostri che sembrano sacchi della spazzatura antropomorfi, tutti belli anonimi e indistinguibili così da non turbare le coscienze dei più giovani.

E quindi succede che la Suicide Squad deve attraversare una serie di edifici random tutti uguali e sparare a qualsiasi cosa si muova, prima per salvare una persona misteriosa («e chi sarà mai?» si chiede assolutamente nessuno visto che la risposta è scontata come un Amazon DaY), poi per pestare i cattivi (che a quel punto si sono moltiplicati). Intanto piove a dirotto, e l’unico a ricordarci che stiamo guardando un film di supereroi e non di SWAT è Diablo quando decide di sputare fuoco.

Per dovere di cronaca devo citare anche la presenza di Joel Kinnaman nel ruolo di Rick Flag, che ama June anche quando diventa una sacerdotessa magica della morte che si muove con la grazia di un cingolato.

Sempre per dovere di cronaca devo dire che il film a un certo punto finisce ed è dura dire se ce ne possa fregare qualcosa.

Intendiamoci, ha i suoi momenti. Tutti concentrati nella prima mezz’ora, ma ci sono e suggeriscono anche l’esistenza, da qualche parte, di un film se non più interessante quantomeno meno sconclusionato di questo. L’intento è commendevole, diamo una scossa all’universo DC con qualcosa di diverso per toni e temi e approfittiamone per introdurre alcune figure chiave dal lato cattivi – visto quanto è finora desolante il panorama dall’altra parte della barricata. Non ci dimenticheremo facilmente della peraltro oggettificatissima Margot Robbie, alla quale vanno +10 punti per riuscire a non scadere nel ridicolo facendo la bambolina fintanaif mentre agita un enorme implemento fallico. E poi c’è… mmm, quando Jay Hernandez sputa fuoco è tutto molto divertente!

Sentite, il problema è che Suicide Squad è un casino senza capo né coda, con grossi problemi tonali e di consistenza interna, costanti crisi d’identità, un ritmo regolare e cadenzato quanto un’aritmia grave e soprattutto nessuna idea del perché, senza direzione dove andare né tesi da sostenere né basi da gettare se non quelle per potenziali spin-off dedicati alle terga di Margot Robbie. Non si regge in piedi da solo neanche a voler essere generosi perché il trattamento Frankenstein che ha subìto è a livello dell’ultimo Fantastici Quattro. Non migliora la già disastrosa situazione dell’universo DC perché la cosa più d’impatto che riesce a dirci è che Il Peggio Del Peggio© è un branco di frignoni con problemi di famiglia e i rimorsi di coscienza, e avanti di questo passo lo scontro finale di Justice League sarà un’introspettiva seduta degli alcolisti anonimi, o si combatterà in una foresta di lettini dell’analista.

Non è nulla, in definitiva, o comunque molto, troppo poco per non finire nel dimenticatoio entro poche settimane.

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