La recensione su Full Contact

di alan smithee

7 stelle

ARTEKINO FESTIVAL 2020

Ivan, un militare di origine francese fa parte di una pattuglia di stanza nel deserto del Nevada, occupata ad osservare, attraverso droni militari, i punti più caldi nella lotta al terrorismo che gli Usa stanno facendo ad una minaccia proveniente dal Medioriente.

Una guerra consumata a suon di bottoni, i cui effetti micidiali si accollano sulla coscienza dei militari impegnati a premere il tasto che induce il missile a staccarsi e a raggiungere l'obiettivo.

Quasi solo un lavoro di precisione, assimilabile per certi aspetti ad un compito d'ufficio di indubbia responsabilità, da cui dipendono tuttavia il futuro di molte vite.

Mentre il suono insistente che fa seguito al conto alla rovescia e dà indicazioni sulla partenza del missile che pochi secondi dopo colpirà l'obiettivo preso di mira, Ivan si troverà a sbagliare un suo incarico, venendo a scoprire che il punto preso di mira era una scuola colma di bambini ed innocenti.

Devastato al solo pensiero del suo errore, Ivan, nonostante venga assistito da un supporto psicologico del suo team, si convince a lasciare quel lavoro e si ritrova, solo e sconsolato, a frequentare bar annegando nell'alcol, incontrando una streaptiseuse che tenta invano di interessarsi a lui, poi trovando un lavoro che lo occupi fisicamente, ove incontrerà un'altra ragazza con cui potersi rapportare.

Ma la vera ragion d'essere per Ivan sarà la riconquista del contatto fisico, quello che gli è sempre mancato nel suo sporco compito di giustiziere solo teoricamente virtuale, e che troverà non tanto nell'approccio amoroso e sessuale, quanto piuttosto nella lotta, nello scontro fisico, iscrivendosi in una palestra di combattimenti marziali, gestita da un titolare e frequentata da giovani uomini che gli appaiono con le medesime sembianze delle persone che egli sente di avere sulla coscienza.

E' un film complesso e profondo quello David Verbeeck, qui al suo terzo lungometraggio e già incontrato col successivo e delicato An Impossibly Small Object, finisce per portare a termine.

Una storia che si aggroviglia su più problematiche per descrivere un percorso di deriva interiore da cui il protagonista riesce ad uscire solo tornando a “toccare con mano” le cose, e soprattutto le persone, con cui vuole o deve interagire.

La vera forza del film risiede, a tutti gli effetti, nella interpretazione magistrale dell'attore francese spesso davvero bravo Grégoire Colin, un interprete che riesce a scendere nell'intimo dei personaggi che interpreta, riuscendo quasi sempre a farsi notare. Al punto da diventare attore feticcio di una regista tosta ed amata dai cinephiles come Claire Denis (ma ce lo ricordiamo anche, appena diciottenne, nel ruolo del monaco timido nel folgorante Prima della pioggia, esordio fulminante di Milcho Mankewski

Chiudi

Ti è stata utile questa recensione? Utile per

6 utenti.

chiudi

Per te? Sì