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Una guerra

Regia di Tobias Lindholm vedi scheda film

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La recensione su Una guerra

di EightAndHalf
7 stelle

Una guerra, dice il titolo, ma quale guerra? Il contesto per Krigen è davvero un pretesto, poiché si tratta di un film che della guerra discute in senso lato e sempre più implicitamente, fino a farla scomparire del tutto nella seconda parte.

 

Pilou Asbæk

A War (2015): Pilou Asbæk

 

Tobias Lindholm ci lancia le prime immagini di guerra con uno shock, una bomba che fa esplodere letteralmente le gambe di un soldato. Presto ci mostra tutto, la violenza, la brutalità, il sangue, gli spari, la polvere, la guerriglia, per poi staccare antiteticamente sulla vita di una donna, la moglie del Capo Operazioni del gruppo di militari cui appartiene il soldato privato di gambe. La moglie, malinconica per la distanza del marito ormai prolungata per diversi anni, accudisce i bambini, bisognosi di particolari attenzioni – vogliamo ricordare la straziante lavanda gastrica sul giovane bimbo di circa cinque anni figlio di lei. E il film, nella prima metà, appare spaccato in due, un confronto che vede sempre soleggiato e sabbioso il territorio afghano, e sempre grigio e smorto il paesaggio urbano. Praticamente una rielaborazione del dualismo fondante l’eastwoodiano American Sniper. Poi, però, il punto di rottura.

 

Pilou Asbæk

A War (2015): Pilou Asbæk

 

Nella seconda metà Krigen comincia a mostrare la sua vera direzione. Facendo riunire i due protagonisti, e trasferendosi definitivamente nella città, ha inizio un film dai toni di thriller processuale che mette in ballo niente poco di meno che la morale e la responsabilità etica di un fatto tragico avvenuto ai danni di alcuni civili afghani e di cui il protagonista Capo viene considerato responsabile. Lindholm dissimula il sottile cinismo con cui inquadra certi personaggi tramite uno stile spigoloso che sa essere serrato e/o intimista con giuste alternanze tonali. Non prevede commenti né parzialità, ma mette di soppiatto i brividi quando la moglie del protagonista incoraggia questi a mentire in tribunale pur di farlo tornare a casa. E la stessa istituzione famiglia, maturata nella prima parte come rifugio solitario ma sicuro dalle terribili insidie della guerra, comincia a incenerirsi come le gambe o i colli di certi soldati finiti sotto le piogge di proiettili, fino a diventare il microcosmo in cui far marcire con rabbia e frustrazione il proprio abissale senso di colpa.

 

Pilou Asbæk

A War (2015): Pilou Asbæk

 

Nonostante Krigen abbia un’evidente conclusione narrativa, non finisce, si chiude con una dissolvenza su un uomo che vivrà il resto della sua vita ossessionato dalla semplice immagine dei piedi del figlioletto, ancora interi e sani diversamente da quelli di una bambina afghana che, sotto le macerie di una casa distrutta, è morta anche con una recisione totale di un piede. Lo shock allo spettatore è lo shock del protagonista: ecco perché Lindholm, alla fin fine, sa dimostrare una consapevolezza visiva che fortunatamente non ostenta e che rende Krigen un lavoro appassionante e ben fatto.

 

In concorso nella sezione Orizzonti a Venezia 72.

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