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Sherlock - Il segno dei tre

Regia di Colm McCarthy vedi scheda film

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La recensione su Sherlock - Il segno dei tre

di Immorale
7 stelle

Tanti auguri, Watson !

L’episodio centrale della terza stagione prosegue sulle coordinate tracciate dalla precedente avventura, opportunamente sbilanciate sul versante della commedia, english style, ricca di verve e di spunti interessanti. In questo caso l’elemento scatenante è dato dal disorientamento del prode detective posto di fronte non ad un omicidio, una sparizione o un truce mistero ma, più prosaicamente, alle prese con un evento “normale” ma non per questo meno snervante, in cui tutti, almeno una volta nella vita, siamo stati coinvolti: il matrimonio di un amico.

 

Martin Freeman, Benedict Cumberbatch

Sherlock - Il segno dei tre (2014): Martin Freeman, Benedict Cumberbatch

 

Un altro caso, per l’agile mente di Sherlock, personale, inaspettato e quasi “intollerabile” ma che gli dà la possibilità di applicare il “metodo deduttivo” da lui tenacemente propugnato e applicato (“la maggior parte della gente guarda ma non vede”) in una situazione apparentemente frivola. Di conseguenza la parte iniziale ci offre una quarantina di godevoli minuti dove le peripezie da “wedding planner” del nostro eroe la fanno da padrone, regalando momenti abilmente ritmati ed, a più riprese, esilaranti.

 

Alice Lowe

Sherlock - Il segno dei tre (2014): Alice Lowe

 

Il mezzo narrativo scelto, gli insistiti flashback, erano un elemento comune nelle serie Tv “old style”, dove compariva almeno una puntata riassuntiva composta dalla riproposizione di materiale già edito, in una sorta di punto e a capo seriale. Qui abilmente implementato da piacevoli inserti, di pochi secondi l’uno, di avventure però mai avvenute.

 

Amanda Abbington, Martin Freeman, Benedict Cumberbatch

Sherlock - Il segno dei tre (2014): Amanda Abbington, Martin Freeman, Benedict Cumberbatch

 

L’aria da simpatico divertissement viene poi meno al palesarsi del caso di giornata, ispirato molto vagamente al romanzo “Il segno dei quattro” del 1890, che appesantisce l’incedere narrativo in momenti spesso ripetitivi. Anche alcune soluzioni sceneggiative appaiono un po’ improbabili e sbrigative, seppur proposte con il solito brio da una regia sempre rocambolesca e da interpreti ormai perfettamente affiatati dalla lunga conoscenza reciproca. Secche che, per fortuna, vengono superate dal suggestivo finale, dove Holmes riconsidera il proprio essere dopo una (piacevole ?) lunga immersione nella normalità.

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