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The Den

Regia di Zachary Donohue vedi scheda film

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La recensione su The Den

di Decks
4 stelle

"Mi raccomando non rivolgere parola agli sconosciuti!".

Scommetto che in tanti, se non tutti, ci siamo sentiti rivolgere questa particolare raccomandazione dalle nostre madri quando eravamo piccoli e dovevamo uscire di casa da soli: un suggerimento importante, che ci metteva in guardia dalle possibili insidie che celava il mondo esterno.

Con l'arrivo dei social network tutto è cambiato: nel nuovo millennio si comunica, ci si innamora e si conoscono nuove persone attraverso uno schermo, non badando più a quel saggio monito; il problema non è certo l'informatica, quanto l'utilizzo spropositato che ne fanno le persone.

 

Melanie Papalia

The Den (2013): Melanie Papalia

 

Mettiamo subito in chiaro che Zachary Donohue non è l'artefice di una nuova corrente horror che oserei definire: "orrore virtuale".

Prima di lui, altri si sono avvicinati ai possibili lati oscuri della connessione virtuale: vi è il bellissimo "Thomas in Love" diretto da Pierre Paul Renders, poi ritroviamo lo stesso tipo di registrazione in "V/H/S", film del precedente anno e così via.

In parole povere, ritengo che Donohue abbia semplicemente approfittato di questa ventata d'aria fresca per attirare una fetta di pubblico, in particolar modo i giovani, che ormai vivono quotidianamente con questa tecnologia.

Mi è difficile, difatti, giudicare da quest'opera quanto sia concreto il talento di Donohue: non possiamo valutare le sue capacità registiche in quanto le riprese altro non sono che finestre del computer con qualche esigua inquadratura in prima persona (queste ultime, sono state realizzate in modo piuttosto elementare oltretutto).

Nemmeno dal lato del montaggio abbiamo grandi risultati, se non quella di sfruttare la capacità multimediale di vari dispositivi quali tablet e pc; da non considerare propriamente come un'abilità, visto che qualsiasi giovane sarebbe stato capace di lavorarci su.

 

Melanie Papalia

The Den (2013): Melanie Papalia

 

Descritto così il film parrebbe essere un insieme di filmati fatti al computer senza alcun valore tecnico e dalla narrazione banale: fortunatamente il lungometraggio di Donohue si differenzia dal brutto "Unfriended" grazie ad un'impronta cinematografica che rende il contenuto interessante.

Non potendo puntare sugli attori, i quali non devono far altro che restare seduti e mimare espressioni di sconcernimento, il regista punta tutto sull'immedesimazione, capace di fare breccia soprattutto nell'immaginario dei più giovani, che spesso si sono trovati in situazioni analoghe, navigando su siti dove capita sovente di incontrare persone del tutto ignote, nascoste dietro una foto.

Da qui parte un incubo informatico che non ha particolari sorprese se non in quel finale che risolleva l'intero prodotto: Donohue inaspettatamente cambia le carte in tavola approfittandone per riflettere su quell'angolo virtuale voyeuristico e macabro, dove l'uomo, senza freni inibitori, può guardare ciò che preferisce in tutta segretezza, protetto dal suo anonimato.

La spettacolarizzazione della violenza e della morte sono la pornografia moderna, ed in essa molti trovano piacere nel soddisfare la loro raccapricciante curiosità: l'etica non solo viene messa da parte, ma agiamo puramente d'istinto, essendo ormai inibiti dagli orrori che assistiamo ogni giorno; ne cerchiamo dunque di nuovi e, in un certo senso, più appetibili ed estremi, per sorprendere un ideale del tutto lobotomizzato e assuefatto.

 

Melanie Papalia

The Den (2013): Melanie Papalia

 

Basta questo colpo di scena a rendere il film appetibile? Personalmente sono rimasto molto dubbioso, soprattutto dinanzi a delle sceneggiature povere, che abbiamo visto decine di volte in altri film. Donohue fonda il suo intero film sul potere della connessione video, ma sotto sotto cosa cambia?

Abbiamo lo stesso assassino che minaccia, uccide e ossessiona senza particolari spunti di originalità, anzi, si usano i soliti trucchetti dell'horror più ingenuo, quali improvvisi sbalzi di volume e la protagonista che, come al solito, non viene presa del tutto sul serio.

Tolto il finale, restano tante scene prevedibili con incongruenze narrative e per di più ripetitive e stancanti; non si riesce, anche con tutto l'impegno possibile, a rimanere partecipi, una volta avuto il contatto con questo predatore informatico non accade più nulla se non dei video minacciosi e continui clichè, solo il rapimento e le sue conseguenze risvegliano, a malapena, dalla monotonia.

 

Il background di Donohue aiuta certamente nella realizzazione del film, oltre a quelli citati in precedenza si basa anche su "Hostel" e "Nickname: Enigmista" (Cry_Wolf in originale), più il bel finale che dà numerosi spunti su cui pensare.

Purtroppo sono piccolezze che confrontate con le immense mancanze: professionalità e stancante reiterazione, al massimo rendono giusto più saporito un brodo allungato che viene spacciato per essere innovativo.

L'inizio di Donohue non è certo dei migliori, anzi è piuttosto tentennante, ma resto fiducioso, grazie ai buoni segnali, che in futuro possa fare qualcosa di buono.

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