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Belluscone - Una storia siciliana

Regia di Franco Maresco vedi scheda film

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La recensione su Belluscone - Una storia siciliana

di tafo
8 stelle

Berlusconi diventa Belluscone e non si sa se ridere o piangere.

Bisogna partire dal micro per arrivare al macro. Basta cambiare prospettiva per vedere meglio le cose. L’autarchia del nostro unita all’assenza di un sistema produttivo decente  crea molti problemi al regista. Maresco per superare tali intoppi li trasforma nella possibilità di reinventare il suo film sin dal titolo che si sicilianizza. La devastazione culturale del nostro paese da parte dell’uomo di Arcore nasce da un piccolo quartiere di Palermo dove bisogna partire per capire il problema. Gli uomini passano ma le macerie restano e certe pratiche diventano normali anche se moralmente discutibili. Le difficoltà del  nostro sono state reali anche se la sua capacità di ricorrere ai suoi freak è sempre geniale. Maresco ribalta l’assunto del finto documentario che fa apparire vero ciò che è falso, lui realizza il contrario facendo apparire false difficoltà vere, basti pensare al guasto del registratore mentre parla Dell’Utri. La sua idea è quella di cercare una nuova via per il film politico, partendo dal basso, dal rapporto tra cantanti neomelodici e Berlusconi scoprendo una sottocultura che domina nei quartieri cittadini difficili come Brancaccio senza incontrare nessuna resistenza, nessuna alternativa culturale che non sia quella della televisione commerciale. Francesco Mira detto Ciccio è un personaggio straordinario che nessuna caratterizzazione cinematografica avrebbe potuto creare. Egli è il simbolo di un sistema che  dietro le feste di piazza da lui organizzate, è capace di vendersi al peggior offerente amico di tutti e nemico di nessuno. Il mondo che lui rappresenta è talmente paradossale che un suo cantante che dimentica di salutare i carcerati, pratica usuale in questi contesti, diventa suo malgrado un paladino dell’antimafia ed è costretto a scusarsi per la dimenticanza. I rapporti tra la mafia e il cavaliere  possono essere parte del film solo se si capisce quello che viene prima, da questi spettacoli che se li consideriamo con sufficienza inferiori ai nostri o poco importanti facciamo il loro gioco gli diamo campo libero. Il regista ci ricorda anche che il consumo culturale è sempre mediale e mediato e hanno vinto loro nel modo di pensare prima che nelle cabine elettorali. Maresco non riesce a limitare questi fenomeni, li irride per mostrarci il volto feroce di una regione e di una nazione devastata da decenni di lavaggio mentale che ci fanno onorare le tombe sbagliate inseguendo il falso mito della mafia buona di una volta( ma questa è un’altra storia).     

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