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Arrivano i bersaglieri

Regia di Luigi Magni vedi scheda film

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La recensione su Arrivano i bersaglieri

di LorCio
7 stelle

Un film di Luigi Magni lo si riconosce subito. È una peculiarità che non molti registi possono vantare. A volte forse sfiora la maniera, come se tutto ciò che metta in scena sia un qualcosa di prevedibile. Eppure, è strano come nonostante questa caratteristica – che spesso sa essere il peggiore dei difetti – Magni riesca a fornire (almeno fino alla fine degli anni ottanta), film assolutamente gradevoli, immersi in una dimensione satirica che non risparmia niente e nessuno, ma con una leggerezza che non diventa mai greve.

 

Intendiamoci, non si sta parlando di un capolavoro, ma Arrivano i bersaglieri sa essere una graffiante e simpatica commedia storica, probabilmente con qualche ambizione di troppo (derivata dal fatto che In nome del Papa Re aveva ottenuto un grande successo sia di pubblico che di critica) soprattutto nella rappresentazione del protagonista: Don Prospero D’Agata, a cui presta voce e corpo un malinconico (e non di rado patetico) Ugo Tognazzi, è la versione estremizzata, risoluta e popolaresca (nobilmente cafona) del Principe di Salina del Gattopardo, che non accetta il cambiamento e si ostina a restare ancorato ai vecchi ideali del passato, ad un sistema di valori che irrimediabilmente non può avere più luogo nella nuova nazione.

 

È interessante vedere Arrivano i bersaglieri oggi, nel tripudio del centocinquantennario, questo personaggio ottusamente legato alla Roma papalina che tanti danni ha combinato nel centro Italia in anni ed anni di potere temporale; e attraverso Prospero, lo stesso Magni, seppure naturalmente antitetico alle idee espresse dal nobiluomo, cerca di mettere in luce le anomalie con cui lo Stato venne alla luce, in un carosello di opportunismo, trasformismo e arrivismo che risultano infine essere gli stessi difetti degli italiani contemporanei. Metaforico, certo, ma senza il moralismo dell’apologo e con una sana dose di sarcasmo che non sempre si coniuga col melodrammismo del finale.

 

Tragicommedia in interni (un palazzo capitolino) nel quale si consumano tradimenti e i segreti non esistono, mantiene comunque una certa connessione con l’ambiente esterno rifuggendo la claustrofobia, anche grazie al sagace ritmo che contraddistingue l’azione. Accanto a Tognazzi, ci sono la spalla Pippo Franco trova il ruolo più decente della sua carriera (un ridicolo monsignore parassita ed ingordo) e uno stuolo di buoni attori (Vittorio Mezzogiorno, Ombretta Colli e Giovannella Grifeo), ma spicca una grande Giovanna Ralli in un ruolo che rappresenta la saggezza, la praticità, l’arte di arrangiarsi, la bontà sorniona di Roma.

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