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Ro.Go.Pa.G. - Laviamoci il cervello

Regia di Roberto Rossellini, Jean-Luc Godard, Pier Paolo Pasolini, Ugo Gregoretti vedi scheda film

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La recensione su Ro.Go.Pa.G. - Laviamoci il cervello

di tafo
7 stelle

PAG al ROGO + PAG -ROGO

Film a episodi che comincia male e finisce bene, dispersivo nei temi con  quattro registi e due insufficienze ma nel complesso resta positivo. Tra goffi complessi edipici, mondi che verranno, passioni stracciate e polli frustati il lavaggio del cervello è difficile da impostare. Si parte con Rossellini che dirige svogliatamente che non prova nemmeno a nascondere la cartapesta di una Bangkok fasulla. L’impaccio dell’approccio poco virile dell’uomo d’affari verso la hostess illibata con fidanzato italianissimo e gelosissimo può essere risolto solo dall’amico freudiano da un regista che gira con la mano sinistra una storia che è l’anti-erotismo assoluto. Godard comincia qui ad ambientarsi nella sua fantascienza intellettuale facendo una  prova generale di film che verranno nel quale meglio sviluppare la perdita del senso e della logica del mondo moderno. Un demo di Alphaville in buona sostanza. Gregoretti gioca con la malattia del consumatore, il piccolo borghese e la sua famiglia ai tempi del boom che tutto desiderano, la televisione migliore, la macchina più potente e la casa più bella. La tecnologia andava già veloce, l’ultimo modello è sempre il penultimo e i polli d’allevamento siamo noi costretti a comprare e ad essere lo stesso sempre frustati e incazzati sempre esposti agli stimoli dell’acquisto di ogni prodotto inutile. Commedia agra che ci lascia nella nostra libertà obbligatoria. Pasolini nel suo apologo metacinematografico gira un film nel film che deve rappresentare la passione di Cristo ma che finisce per essere la passione di Stracci. Il sottoproletario sempre affamato che quando riesce a placare la sua fame muore. Stracci è abituato alla sofferenza a prendere calci dalla vita, il suo appetito è atavico e insaziabile, gli altri lo sanno e sfruttano questo per deriderlo senza limiti di decenza o di classe sociale. Il poeta contrappone la seriosità figurativa nella cornice del set e la volgarità delle persone fuori. Sacro e profano pittura cattolica e vita blasfema bisogni corporali e necessità artistiche. Orson Welles è l’alter ego perfetto nel far passare l’immagine dell’intellettuale scomodo e lapidario circondato da uomini medi. Un piccolo miracolo che descrive in modo perfetto la dissociazione tra la realtà e la sua rappresentazione scenica.

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