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Sangue del mio sangue

Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Sangue del mio sangue

di laulilla
4 stelle

Collegando al presente un’orribile storia di superstizione e di ingiustizia, Marco Bellocchio racconta la storia immutabile di Bobbio Piacentino, luogo di antichissime origini, sorto, nei primi secoli dopo Cristo, nei pressi del monastero di San Colombano, diventato convento femminile che dava di che vivere ai borghigiani dei dintorni.

 

 

Interno di un convento – una storia  del XVII secolo 


Si aprivano su oscuri corridoi le celle spoglie e poco illuminate che ospitavano le giovinette che, ufficialmente, volevano sacrificare all’amore e alla gloria di Dio la propria vita, ma che vi erano state obbligate dalle ricche o nobili famiglie della zona allo scopo di evitare la frammentazione dei loro beni, inevitabile qualora avessero dovuto provvedere alla dote delle ragazze da marito.
Non è strano, perciò, (altro cinema lo aveva raccontato) che le piccole celle delle suore nascondessero amori segreti, cuori spezzati, drammi grandi e piccoli, che, se scoperti, erano occasione per allestire processi e condanne “esemplari”, ciò che puntualmente si verifica in questo film allorché Federico (Pier Giorgio Bellocchio), alto prelato della potente famiglia che dominava dal castello l’intera vallata del Trebbia, si uccise, facendo emergere la “peccaminosa” storia del suo amore  per la bella suor Benedetta (Lidiya Liberman).

 

Il gemello (ancora Pier Giorgio Bellocchio) del suicida, raccogliendo il dolore disperato della vecchia madre, si era recato a protestare col priore che non aveva concesso all’infelice i funerali religiosi, cosicché ora, il suo corpo si trovava in terra sconsacrata.

Il giovane, subito rassicurato che l’empia Benedetta, dai cortissimi capelli – Satana, si sa, trovava facile asilo nelle lunghe chiome femminili – avrebbe certamente confessato la sua alleanza col demonio, condizione necessaria al funerale religioso.


Il film procede descrivendo con dovizia di particolari le torture contro la presunta assatanata, perché ammettesse l’alleanza diabolica, nonché raccontando gli incontri furtivi fra il gemello vivente e la poveretta, che si consolava con lui di tanto strazio.

Benedetta, però, non reggendo alla tortura estrema della prova del fuoco, aveva infine  ammesso l’alleanza col demonio e fu murata viva per volontà degli inquisitori e per la gioia di quella madre che ora pubblicamente e religiosamente poteva pregare per la salvezza dell’anima del figlio.

 

Bobbio, oggi: uno strano paese.


L’antico convento non ospita più le tenere pulzelle sacrificate dalle famiglie, ma un vecchio demente, chiamato il conte (Roberto Herlitzka), che passa il suo tempo a letto, circondato da servi e parenti mentre canta Ta pum, la canzone degli alpini della prima guerra mondiale. Dall’interno della insolita dimora il vecchio non si muove  se non di notte come i vampiri, ha un solo dente, infatti, ed è identico, nell’aspetto, all’inflessibile e spietato inquisitore – è infatti interpretato dallo stesso attore –.

Il conte esercita su tutto il paese un potere arcano, grazie ai legami segretissimi con una setta di iniziati che trama nell’ombra contro le leggi democratiche.

Il collegamento fra le due parti del film va ravvisato, a mio avviso, nella natura identica del potere, che si ammanta da sempre di mistero e di riti segreti, ma che persegue invariabilmente lo stesso scopo: mantenere e aumentare la ricchezza, che oggi ha il volto della speculazione edilizia (la vendita dell’antico convento) e dell’evasione fiscale (nascondersi per sottrarsi allo stato esattore fiscale)…

 

 

 

Il film è, a prima e anche a seconda vista, un puzzle di difficile ricomposizione, di cui si stenta a comprendere il senso: se la prima parte all’interno del convento è un tentativo, non originale, di ricostruire la storia cupa e violenta di una donna, monaca per forza, intervallato da qualche sprazzo boccacceso, la seconda parte, è una banale riflessione sul potere della ricchezza, non priva di incongruenze e di luoghi comuni.

 

Eppure Bellocchio, piacciano o no i suoi film, è uno dei più apprezzati registi italiani, nonché un intellettuale lucido e attento ai problemi della nostra società.

Egli aveva dichiarato, a proposito di Sangue del mio sangue, di considerarlo un anarchico capriccio, rimasto a lungo nel cassetto, allo stato di progetto.
Talvolta qualche film nel cassetto dovrebbe rimanerci.


Questo, realizzato qualche anno fa, ha diviso critica e pubblico, e ora è in streaming su Raiplay, confermandosi un film, talvolta, alquanto imbarazzante.

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Recensione del 12 settembre 2015, aggiornata oggi dopo la seconda visione del film in streaming.

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