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Father and Son

Regia di Hirokazu Koreeda vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Father and Son

di laulilla
8 stelle

Chi è il padre? Qual è il suo ruolo nella famiglia di oggi? La famiglia e i compiti genitoriali al centro di questo bel film di Hirokazu Kore-eda (2014)


Nella vicenda che ci viene raccontata, ambientata nel Giappone di oggi, Ryota è un architetto e manager di successo, molto indaffarato; ha una moglie che lo ama e un figlio, Keita, di soli sei anni.

Per curarne l’educazione, la giovane madre gli si dedica a tempo pieno, con tenerezza e costanza, cosicché il piccino cresce nella prospettiva di diventare a sua volta un uomo affermato e ammirato, come il suo papà: egli segue, sia pure senza troppo entusiasmo, le lezioni di piano, così come si impegna attivamente per superare l’ammissione alla speciale scuola creata per selezionare i bambini più bravi e promettenti, "predestinati" dal loro importante papà ad affermarsi nella vita.

 

 

Raggiunti alcuni traguardi, indispensabili al futuro vagheggiato per il bambino, tutto nella piccola famiglia sembra procedere senza problemi, nella lussuosa e grande dimora in cui si svolge la vita di ciascuno, allorché, come un fulmine a ciel sereno, arriva la notizia che, per uno scambio in culla, avvenuto in ospedale dopo il parto, il vero Keita vive ora presso un’ altra famiglia, in cui ciascuno ignora che quell'amato figlio di nome Ryusei non dovrebbe trovarsi lì.

 

Il suggerimento degli psicologi e degli operatori sociali incaricati di sostenere i quattro genitori coinvolti nel brutto pasticcio è di iniziare a frequentarsi con amicizia, ospitando i figli scambiati, per riportarli nelle loro case nel modo più naturale e indolore possibile: di nuovo uno scambio, dunque, in nome dei diritti del sangue, condivisi, con una certa riluttanza, solo da Ryota, ma poco accettabili per le due madri che vorrebbero continuare la vita di prima, come se nulla fosse successo.

 

Le due famiglie non potrebbero essere più diverse: Yudai, l’altro padre, è un uomo buono, molto tollerante e per nulla ambizioso; gestisce un piccolo negozio di materiali elettrici e si ritaglia molto tempo libero da dedicare ai figli (sono altri due, oltre a Ryusei), con i quali gioca volentieri, coinvolgendone l’entusiasmo e la fantasia. La madre, in questo caso, contribuisce col proprio lavoro alle spese della casa, che è assai modesta e in disordine, perché porta le tracce della vitalità dei tre bambini, ancora piccoli. L’amicizia “necessaria” delle due famiglie non è tra le più facili, con la conseguenza che il soggiorno concordato dei rispettivi figlioletti nelle due abitazioni, dapprima accettato come un bel gioco, presenta problemi crescenti quanto più si prolungano i tempi della permanenza: Ryusei, infatti, non è affatto disponibile a impegnarsi per diventare un uomo di successo, ma è sufficientemente autonomo per fuggire, tornando nei luoghi dove era sempre vissuto; Keita, che pure si era molto divertito ed era stato conquistato dai bei giochi dei fratellini e dal volo degli aquiloni, sente, infine, la mancanza degli studi e persino del pianoforte, a cui vorrebbe tornare. Di tutti i personaggi, è proprio lui il più consapevole dell’inganno e il più dolente, quello che vive con indicibile sofferenza l’ingiustizia crudele che sta subendo senza colpe e alla quale non è in grado di opporre alcuna forma di ribellione. Ritrovare il padre, alla fine della separazione insensata e simbolicamente rappresentata nel bellissimo finale del film, sarà sufficiente a sanare la piaga profonda che potrebbe aver minato gravemente le sue sicurezze infantili?

 

 

 

 

 

Un film sullo scambio dei neonati, ma soprattutto sulla paternità, da un regista da poco diventato padre. Un anno prima, nel 2013, la regista francese Lorraine Lévy, col suo Il figlio dell'altra, aveva utilizzato il tema dello scambio in culla, assai antico, in un ottica materna, con l'intento di parlare della fraternità che rende gli uomini uguali, Israeliani e Palestinesi inclusi.


In questo ottimo lavoro il regista giapponese Hirokazu Koreeda si cimenta con lo stesso soggetto, riflettendo, però, sul significato del diventare padre e sviluppando l’ipotesi che, al contrario della maternità che sarebbe soprattutto un legame naturale, in quanto biologico, fra la donna e il proprio figlio, la paternità sia un legame difficile da accettare, essendo principalmente un’acquisizione culturale.

Il film ci dice, infatti, che si diventa padri lentamente e spesso con difficoltà, soprattutto se nelle famiglie si mantiene la divisione rigida dei compiti fra il padre e la madre, così come avveniva in passato, mentre è più facile diventare padri consapevoli se le famiglie si organizzano in modo meno convenzionale e meno rigido nella distribuzione delle funzioni.

 

La pellicola è molto bella; la narrazione è pulita e priva di retorica, delicata e assai coinvolgente nel parlarci del lungo processo di maturazione di Ryota, che gli farà accettare con piena convinzione la paternità di Keita, anche se non non è fondata sui legami del sangue. Per essere padri quello che conta oggi è la disponibilità ad accogliere e a comprendere che i figli hanno bisogno, soprattutto, dell’amore, fatto di tempo insieme dedicato all' ascolto e alla condivisione dei problemi, dei dolori e delle gioie, anche piccole come quella di veder volare gli aquiloni.

 

Revisione dell'articolo pubblicato il 7 aprile 2014 su :

 laulilla.wordpress.com

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