Regia di Peter Landesman vedi scheda film
Parkland è un documento storico - checchè se ne dica - prezioso.
Nulla di nuovo, a ben vedere, sotto il sole (di Dallas).
Il film non alimenta, nè concede spazio a teorie cospirative, complottiste e quant’altro (il che potrebbe deludere qualcuno). Parkland è un’altra cosa. Una cronaca - fedele alla realtà (quella, almeno, su cui non si discute) e svolta quasi in tempo reale - di una manciata di giorni di (comprensibilissima) psicosi collettiva. Un’eccitazione generale di cui Parkland abbozza (con un montaggio frenetico e sporco che mantiene inalterata la tensione: spaggy) i contorni ricorrendo agli angoli visuali di quei protagonisti che i capricci della Storia sogliono lasciare solitamente ai margini di essa.
Ecco ciò che impedisce allo spettatore di farsi un quadro della situazione completo ed esauriente. La novità non sta nel “cosa”, ma nel “come”.
Chissà cosa sarebbe potuto succedere se quel pomeriggio di novembre di 50 anni fa avesse fatto freddo e, magari, avesse anche piovuto. Forse le cose sarebbero andate diversamente. In tal caso, sicuramente la Storia (tutta quanta) avrebbe esplorato ben altri sentieri. Ma - è evidente - la Storia non si fa con i “se” e la descrizione dell’unica certezza che si ha di quella giornata (l’assassinio di Kennedy), con i relativi annessi e connessi (il suo essere stato immortalato da Zapruder, il tentativo disperato dei medici del Parkland Hospital di salvare il presidente, l’asprezza del rapporto fra i fratelli Oswald ecc.), è ciò che ha costituito l’esclusivo oggetto del buon film di P. Landesman. Una sorta di "docufilm" didascalico (GIMON 82) che, a mio avviso, merita la visione.
Dopodiché, per la soluzione (si spera) della miriade di questioni irrisolte che ruotano attorno a questo brutto, celebre fatto di cronaca, non resta che attendere il 2017. Ormai dietro l’angolo.
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