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Parkland

Regia di Peter Landesman vedi scheda film

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La recensione su Parkland

di Spaggy
6 stelle



La domanda è semplice: cosa non si è ancora raccontato dell’assassinio di Kennedy sul grande schermo? Abbiamo visto nel corso dei decenni ricostruzioni fedeli, tesi complottistiche, drammi personali ed epopee familiari, filmati dai registi più disparati. Opere per il cinema e drammi per la televisione hanno sezionato in lungo e in largo gli eventi che hanno scosso la geopolitica mondiale e gli equilibri interni di un intero Paese quel lontano 22 novembre 1963. Eppure, Parkland di Peter Landesman riesce a trovare un punto di vista inedito e, sotto molti aspetti, originale per ritornare a quella fatidica data e narrare come l’assassinio dell’uomo più importante del mondo abbia influito nel giro di pochi minuti nella vita di un gruppo di persone.



Raccontato quasi in tempo reale e con un montaggio frenetico e sporco che mantiene inalterata la tensione, Parkland si focalizza nella fattispecie su chi ha filmato con la sua camera in 8 mm il momento dello sparo, sul personale che ha prestato i primi aiuti all’ospedale di Parkland, sul commissariato di polizia locale e sul fratello di Lee Oswald, colui che è ritenuto il responsabile dell’insano gesto. Si tratta di un manipolo di individui che, come Kennedy e la moglie Jackie, non hanno possibilità di scelta e devono attenersi a un senso di giustizia personale fortemente modellato da una giustizia di protocollo, che in casi simili detiene l’ultima parola sul da farsi.

La paura generata da un caos ritenuto fino a quel momento impensabile (“non ho mai perso un mio uomo”, ammette il responsabile della sicurezza del presidente) è palpabile nei volti di chi, ad esempio, da specializzando deve tentare di far battere il cuore di Kennedy, di chi deve decidere a chi affidare immagini che faranno Storia, di chi intravede il futuro per sempre rovinato per via di una madre e un fratello fin troppo ambiziosi, di chi ha appena visto cadere il marito sotto i colpi di un’arma da fuoco e ha tra le mani i frammenti del suo cranio, di chi poteva fermare il presunto assassino settimane e settimane prima, di chi vede la propria carriera per sempre compromessa e di chi, invece, si assume sulle spalle il peso di un’intera nazione. Una nazione che rimane attonita nei seguire gli ultimi istanti di vita del proprio Presidente, una nazione che si stringe nel dolore e che si rifugia tra i beni più cari, una nazione che è pronta a reagire come sempre nel momento in cui è violata.



Regia moderna e concitata quella di Landesman, che non subisce nessun contraccolpo nel tessere e nell’intrecciare le varie vicende, seguite con il battito di chi è in attesa di fronte a una sala operatoria e aspetta il verdetto del chirurgo. Si piange, si spera e si riflette dopo un evento così grande che scuote le fondamenta dei palazzi del potere con un gesto definito da sempre indecoroso: il 1963 come il 2001 rappresentano la faccia dell’America umiliata dall’altro e dall’imprevedibile.

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