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The Zero Theorem

Regia di Terry Gilliam vedi scheda film

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La recensione su The Zero Theorem

di AlbertoBellini
7 stelle

La malinconia ha invaso il Cinema visionario di Terry Gilliam, tornato alla ricerca del senso della vita.

 

In seguito ad una riflessione, protratta per diversi anni, sono giunto ad una conclusione: NON si può amare il Cinema e odiare Terry Gilliam. Poco ma sicuro. Come è poco ma sicuro che chiunque si occupi - o sia in qualche modo coinvolto - della distribuzione di prodotti cinematografici nella nostra Italia, debba altamente vergognarsi, una volta per tutte. Il motivo, molto semplicemente - oltre all'ovvietà del nome presente dietro la macchina da presa - è che tutti noi, specie in un periodo storico come questo, abbiamo bisogno di opere come questa, in grado di stimolare importanti riflessioni.

 

[https://www.youtube.com/watch?v=shmt-BReFuE]

 

 

"Allo stato attuale non proviamo alcuna gioia."

 

Il 1984 (II) e ½ riconferma (nel remoto caso in cui ce ne fosse stato bisogno) la folle genialità - o la geniale follia - di chi ha saputo ingannare il diavolo. Togliendoci sin da subito un sassolino dalla scarpa, la grandezza di questo 'The Zero Theorem', dodicesima pellicola dell'ex-Monty Python, non è lontanamente paragonabile a quella di 'Brazil', seppur di GRANDEZZA si sta parlando. Perchè sì, quando si pensa a Terry Gilliam, la mente punta istantaneamente nella direzione di 'Brazil', opera grazie alla quale è nata e morta una delle parti più importanti del Cinema - e dell'Arte in quanto tale: la fantasia. E in un mondo ove la fantasia è pressochè morta e sepolta, Artisti come Terry Gilliam vengono spinti in secondo piano (la lenta distribuzione è una delle tante prove). Del resto - come già affermai nel mio commento riguardante 'The Neon Demon' - siamo digitalizzati sino al midollo, alla mercè di ciò che può essere definito esistenza. Questa sorta di evoluzione involutiva, sarà la fine del mondo. Non è un caso che la storia di Qohen Leth (il magistrale Christoph Waltz) ci venga narrata da un Terry Gilliam triste e ormai rassegnato, privo dell'allegria che lo contraddistingueva precedentemente nel panorama cinematografico. 

 

Qohen Leth, uno spirituale Sam Lowry, rappresenta perfettamente la nostra attuale condizione umana, in bilico tra le insicurezze e la paura d'incappare nella morte, senza prima aver trovato uno scopo, una voce che possa incoraggiarci a continuare ed affrontare le ingiustizie della routine - una grandiosa Tilda Swilton ricopre il ruolo della psicologa, intenta a capire i bisogni del protagonista. Abbandonati tra i colori di una stanca e non più vitalità, ossessionati dall'idea che una forza maggiore troverà le risposte a tutto ciò. In proposito, Gilliam ci ripete continuamente: "La Mancom da significato alle cose belle della vita.", come se passare il resto della propria esistenza al comando di una macchina - non a caso, molto simile ad un videogioco - rappresentasse la chiave di tutto. Inutile dire che la Mancom, il vertice della società nella pellicola, sia un rimando ad Orwell e alla sua pietra miliare, un argomento caro al regista statunitense. Il capoccia della Mancom, infatti, interpretato da Matt Damon, da continuamente l'idea di una figura divina, spirituale, ma limitato da una determinata parte di se stesso: quella umana.

 

Infine, pare che la "salvezza" risieda in un buco nero, precisamene, nel mondo dei sogni, in compagnia della nostra fantasiosa anima gemella, Bainsley per Qohen - interpretata da Mélanie Thierry - unico velo di luce speranzosa presente in 'The Zero Theorem', stroncato e deriso dalla critica e da una buona fetta di pubblico - amanti di Terry Gilliam compresi - ma che a me personalmene, nel profondo, ha emozionato più di tanti altri "prediletti", degli ultimi anni. Sperando che il buon Terry riesca nella non semplice impresa di realizzare 'The Man Who Killed Don Quixote' (progetto rimasto nella mente dell'Autore per troppo tempo), una misera parte di pubblico italiano potrà finalmente assistere in sala all'ultima, monumentale creatura di un genio visionario - ovvero, nessuno ricorda più la gioia e la spensieratezza, ma, nell'attesa di una telefonata, si cerca disperatamente il senso della vita.

 

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