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BB King: The Life of Riley

Regia di Jon Brewer vedi scheda film

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La recensione su BB King: The Life of Riley

di FilmTv Rivista
8 stelle

Piomba come un ufo sugli schermi italiani (del circuito The Space Cinema) questo B.B. King. The Life of Riley di Jon Brewer, biopic documentaristico dedicato a Riley B. King, detto B.B., sovrano imperatore del blues elettrico. Cullati dalla voce narrante di Morgan Freeman, Virgilio tra le acque del Mississippi, si ripercorrono cent’anni (il musicista ne ha 87) di musica black, partendo dalla baracca di Itta Bena dove nacque. Suonava il blues nei campi di cotone, perché in casa era permesso solo il gospel (e per proprietà transitiva, dice Riley: «Tutto ciò che non cantava Dio cantava il diavolo...»), finché ancora ragazzetto parte col suo fagotto come in un libro di Mark Twain per incontrare un reverendo sulla strada per Memphis. Rufus Thomas, primo ministro del soul, lo sente strimpellare e gli dà una chance in un locale del Chitlin’ Circuit (il cosiddetto circuito dell’entertainment per soli afroamericani). Così “nasce” B.B. King, e con lui la tecnica chitarrista (improvvisata: il Nostro non ha mai studiato uno spartito in vita sua) del Twingy, che gente come Peter Green o Gary Moore ha imitato all’infinito. Grazie a un produttore ebreo bianco, Sid Seidenberg, per quarant’anni suo manager, B.B. arriva a vendere un milione di copie di The Thrill Is Gone. Il documentario scava, viaggia, intervista, suona per quasi due ore. Seconda parte dedicata ai tributi, specie degli inglesi che diffusero negli anni 60 il verbo del blues oltre il microcosmo nero. «Noi lo suoniamo meglio – tuona Rufus Thomas – ma loro lo suonano diverso». John Mayall, Eric Clapton, la voce di John Lennon dall’aldilà, Keith Richards («Spero un giorno di raggiungere i suoi livelli» dice il settantenne chitarrista degli Stones), tutti devoti al Twingy di B.B. King e alla sua Lucille, la chitarra dal suono irriproducibile. Grandiosa poi la sequenza della registrazione di When Love Comes to Town degli U2, con B.B. che ammette di non avere familiarità con gli accordi e Bono, imbarazzatissimo, che si affretta a specificare come a quelli penserà The Edge («e poi saranno al massimo due...»). Piuttosto convenzionale nella concezione, The Life of Riley appassiona per la storia di un uomo dalla vita lunghissima, cominciata nel fango dell’emarginazione razziale e proseguita sulla vetta dell’Olimpo della musica.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 17 del 2013

Autore: Mauro Gervasini

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