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A Hijacking

Regia di Tobias Lindholm vedi scheda film

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La recensione su A Hijacking

di leporello
8 stelle

La nave mercantile dove Mikkel (Johan Philip Asbæk) lavora come cuoco, in rotta per rifornimenti nell’Oceano Indiano verso Mumbay, viene attaccata e sequestrata da una banda di somali. Intanto, in Danimarca, Peter (Søren Malling), amministratore delegato della compagnia di navigazione, contrariamente al parere datogli da Connor (Gary Skjoldmose Porter), un esperto professionista ingaggiato dalla compagnia stessa per risolvere il caso, decide di condurre direttamente e personalmente le trattative con  Omar (Abdihakin Asgar), il portavoce dei pirati, trade-union tra le parti (l’unico in grado di parlare inglese) pur essendo estraneo alla banda. A condividere con Mikkel la drammatica esperienza sulla motonave “Rozen”, il macchinista Jan (Roland Møller) e il comandante della nave (Keith Pearson), al quale una pregressa patologia intestinale si riacutizza in occasione dell’evento.

Il plot è tutto qui, ed è presto detto: il film si struttura per intero dividendo equamente l’arco temporale dei quattro mesi (tanto sarà necessario perché la vicenda trovi una soluzione) tra la vita sulla motonave (dove il progressivo precipitare delle condizioni di tutti gli occupanti dell’imbarcazione rimasti senza cibo e rifornimenti, snervati dalla trattativa estenuante i sequestratori,  ed esausti per la prigionia i marinai) e le asettiche, glaciali stanze della direzione della compagnia di navigazione, dove Peter e i suoi collaboratori (pressati dal Consiglio di Amministrazione) restano incollati al telefono per interminabili ore, giornate, presto settimane e mesi interi. L’intera vicenda viene volontariamente tenuta nascosta all’opinione pubblica: è questo un caso molto frequente nella realtà, dove le compagnie di navigazione vittime di pirateria preferiscono trattare e risolvere privatamente la questione senza richiedere l’intervento  delle autorità. Il regista Tobhias Lindholm, firma prestigiosa del panorama danese, spesso collaboratore del più noto collega Thomas Vinterberg, con questo film ha volutamente inteso portare all’attenzione pubblica questo fenomeno  poco conosciuto e, pur non schierandosi apertamente per nessuna posizione in particolare, ha saputo tirare, con la glaciale maestria e precisione oramai caratterizzante questo gruppo di cineasti danesi, un colpo di fioretto magistrale proprio nel finale. Infatti, dopo essersi “limitato” a mostrare per tutto il tempo (non certo senza pathos, nonostante l’apparente piattezza e ripetitività degli eventi) da una parte l’accorata umanità a bordo della motonave (dove, alternata alle pressioni psicologiche e fisiche tipiche degli aguzzini verso le loro vittime, tra rapitori e rapiti arriva ad instaurarsi una complicità apparentemente quasi amichevole come in una sindrome di Stoccolma), e dall’altra l’appassionata e generosa ostinazione di Peter, abitualmente freddo affarista senza scrupoli, calatosi improvvisamente e suo malgrado nel nuovo ruolo  di “padre responsabile” che vuole a tutti i costi riportare a casa sano e salvo tutto l’equipaggio,  il finale voluto dal regista vorrà dimostrare con risolutezza e senza mezzi termini come tutto ciò che è accaduto nel film (e che appunto accade spesso anche nella vita reale)  è indiscutibilmente e ineluttabilmente una tragedia vera e propria, al di là di ciò che accade o che potrebbe accadere.
Intensissime (e tesissime) alcune scene di questo film passato nella sezione “Orizzonti” della 69° Mostra di Venezia; una per tutte: lo sgozzamento (che peraltro, in barba ai poveri animalisti col cuore in mano, pare sia stata girata in piena realtà e senza finzioni sceniche) della capretta a bordo della nave. Ed intensissime le recitazioni dei due protagonisti, il cuoco Mikkel da un lato e più ancora Peter, l’armatore, al quale il bravissimo Søren Malling riesce ad attribuire un’umanità tanto profonda quanto glaciale, con una simbiosi apparentemente impossibile eppure riuscitissima.

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