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The Shine of Day

Regia di Tizza Covi, Rainer Frimmel vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su The Shine of Day

di alan smithee
6 stelle

Dopo tanti sacrifici e gavetta per un giovane ed aitante attore di teatro inizia un periodo di lavoro intenso che lo galvanizza e lo costringe ad un tour de force, sempre diviso tra due città come Vienna ed Amburgo per non rinunciare alle offerte di lavoro che iniziano a fioccare abbondanti davanti al proprio uscio. Molta parte della giornata occupata a provare, provare ancora per imparare copioni differenti e poterli interpretare contemporaneamente ad altri lavori. Vita privata poca, rapporti familiari quasi inesistenti. Almeno fino al giorno in cui, proprio davanti al pianerotto, si fa innanzi davanti a lui un uomo tarchiato e baffuto, che si presenta come lo zio, fratellastro del padre del ragazzo. Il giovane resta titubante, lo accoglie, ma gli rivela freddamente e con asetticita' che ha poco tempo da dedicargli.
Nel contempo viene a sapere che l'anziano ha lavorato tutta una vita in un circo, girovagando l'Europa ed in particolare l'Italia, protagonista di spettacoli spesso rischiosi, domando ed esibendosi con giganteschi orsi bruni e lanciando coltelli su bersagli umani. L'attore viene inoltre informato del fatto che i rapporti tra padre e fratello si sono interrotti da tempo e che ora lo sconosciuto desidera riallacciare un contatto con la propria famiglia, dimenticando crucci, alterchi e ingiustizie del passato. Via via che si frequentano, nasce tra i due uomini un rapporto di amicizia e rispetto sincero. Lo zio si dimostra tra l'altro un valido aiuto per un vicino di casa dell'attore, immigrato dall'est con due bambini piccoli che non sa a chi affidare, e che trovano nell'anziano, il nonno ideale con cui passare giornate in attesa del padre al lavoro. Ecco dunque che quella imbrobabile amicizia ed attaccamento tra zio e nipote permette all'attore di tornare a riflettere sull'importanza di un legame familiare che anche a lui manca, aprendo la mente troppo impegnata a pensare alla carriera verso valori del tutto dimenticati o addirittura mai considerati. E arrivando in tal modo a predisporsi al vero "splendore del giorno", quello che fa davvero chiarezza sulla strada piu giusta in cui inoltrarsi durante il percorso esistenziale. Ritorna dunque, con il medesimo stile essenziale e "neorealista" la coppia Frimmel/Covi del celebrato e celeberrimo "La pivellina", presentato (e visto) a Cannes 2010 alla Quinzaine tra le ovazioni di un pubblico commosso e insolitamente caloroso. Stesso stile ma tematiche più varie e complesse che consentono da una parte alla coppia in regia di raggiungere livelli piu universali, ma anche al contrario, forse per troppa ambizione di dire troppe cose, di perdersi un po' in sottostorie che deviano pericolosamente il film dal suo percorso narrativo inizialmente impostato (o almeno tracciato per vie generali da una impostazione narrativa che punta sull'esasperazione della realtà quotidiana). Ormai ben sappiamo proprio dal felice esito de La pivellina quale sia la passione e la capacità dei due registi di trarre dalla spontaneità infantile spunti espressivi formidabili. Tuttavia qui la storia dell'immigrato vicino di casa del protagonista, con i due bambini affidati allo zio apparso dal nulla, risulta una deviazione che stenta ad amalgamarsi al resto del discorso, o crea comunque una forzatura che svia troppo bruscamente la narrazione gia avviata. Il film tuttavia riesce dignitosamente a schivare patetismi e melodrammaticita' gratuita, rimanendo ancorato ai caratteri spiccatamente anticinematografici della dura, difficile e talvolta banale o ripetitiva realtà quotidiana che tutti noi in qualche modo ci troviamo a vivere. In questo soprattutto consiste a mio avviso la forza di un film (dalla bella fotografia che si perde in scorci portuali e serate invernali cittadine suggestive proprio perche' reali e non visivamente troppo costruite per sorprendere) che accosta (pericolosamente) due mondi vicini e un po' lontani come teatro e rappresentazione circense, senza perdere lucidità e cadere nel bonario o in falsi patetismi pseudo poetici altrimenti fastidiosi.

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