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Flight

Regia di Robert Zemeckis vedi scheda film

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La recensione su Flight

di FilmTv Rivista
8 stelle

Come in un’isola deserta. Da Chuck Noland di Cast Away a Whip Whitaker di Flight c’è un altro inabissamento nel cinema di Robert Zemeckis. Non solo fisico ed emotivo ma soprattutto sensoriale. Se con il personaggio interpretato da Tom Hanks, il cineasta metteva in atto una “magnifica sfida” filmandolo da solo per circa un’ora e mezza, qui costruisce un altro isolamento. Denzel Washington potrebbe esserne una sorta di reincarnazione, quasi una ripartenza da lì dopo i tre film in performance capture (Polar Express, La leggenda di Beowulf, A Christmas Carol 3D). Con la differenza che qui ci sono altri personaggi che passano davanti a lui come entità invisibili, che ne attraversano lo sguardo nel suo “personale viaggio” verso lo spazio profondo simile a quello di Ellie/Jodie Foster nell’immenso Contact. È sempre un evento che rimette in gioco tutto nel cinema di Zemeckis. Non quelli molteplici, “straordinariamente normali” di Forrest Gump, che si verificano in successione. Ma come in quel film si ha l’impressione di vedere attraverso i suoi occhi, in soggettiva. Whip è un pilota di linea che riesce a far atterrare miracolosamente un aereo danneggiato salvando la vita a 96 persone su 102. In ospedale, però, le analisi hanno rilevato la presenza di alcol e droga nel suo sangue. Il suo gesto eroico passa in secondo piano. Lui finisce sotto inchiesta, l’opinione pubblica alimenta sempre più dubbi sul suo comportamento e rischia il carcere. Flight trascina ancora dentro un vortice di rumori, con il suono che è praticamente un’altra colonna dialoghi (l’aereo in volo, il temporale, il frigobar con gli alcolici come richiamo). Un grande thriller aereo, quello di Zemeckis, con la scena del guasto e dell’atterraggio di fortuna di potente tensione, ma non solo. Il film ha punte altissime di puro mélo (il rifiuto del figlio, il rapporto con la ragazza tossicodipendente dove ogni abbraccio potrebbe sembrare l’ultimo), si sposta verso zone grottesche dove John Goodman sembra uscito da un’opera a metà tra i Coen e Tarantino, materializza la dipendenza guardando al Wilder di Giorni perduti e danza in continuazione tra l’onnipotenza di Fearless. Senza paura di Weir e la disperazione. Celestiale.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 4 del 2013

Autore: Simone Emiliani

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