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Un giorno devi andare

Regia di Giorgio Diritti vedi scheda film

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La recensione su Un giorno devi andare

di ROTOTOM
6 stelle

Terzo lungometraggio di Giorgio Diritti, presentato in anteprima mondiale al Sundance Festival 2013 e co-sceneggiato con Fredo Valla e  Tania Pedroni – reggiana doc - autrice già de L’uomo che verrà (2009). La presenza del regista in sala prima della visione, giovedì 4 aprile al cinema Olimpia, Reggio Emilia, introdotto da un sempre educato, puntuale e apprezzabile giornalista Renato Ballabeni,  ha permesso di comprendere il motivo della realizzazione del film. Qualcosa che si rifà ad un’esperienza personale, il viaggio in Amazzonia dieci anni prima dello stesso Diritti, ed alle sensazioni vissute attraverso il cuore di quella terra primitiva così distante dalle sovrastrutture della società moderna, industrializzata, folle. Quella necessità di ritrovare il filo di una vita perduta per cui, Un giorno devi andare.



E Augusta andò. Un trauma personale la scollega dal mondo e la caccia su una barca su un fiume amazzonico alla ricerca del sé più profondo, alle radici dell’esistenza. 

Una discesa nel cuore di tenebra del dolore, il riferimento al fiume serpente che scivola all’interno della giungla e nell’atavico animo umano è chiaro, forse non voluto ma lo sguardo fisso di Augusta (Jasmine Trinca) verso l’ignoto spazio profondo che si appresta ad esplorare  non può non richiamare alla memoria la discesa lungo il fiume Lung del capitano Willard alla ricerca del colonnello Kurtz. Ma tutto rimane più sulla superficie del fiume e non affonda come dovrebbe nelle tenebre di quel cuore che cerca.



Sarebbe interessante sapere se Diritti sia mai entrato in possesso o visionato Vinyan (2008)  un bellissimo film di Fabrice Du Welz      e la sua storia della donna che perde il figlio durante lo tsunami del 2006 in Indonesia  e si mette in barca, sul fiume, alla ricerca di un tempo perduto, arcaico, primitivo. Tutto ciò che non è (completamente) il film di Diritti.
Supposizioni.
Altre influenze sono quelle della ricerca della spiritualità del Malick odierno, la natura – in questo caso la più selvaggia Amazzonia -  è il grembo generatore dell’umanità, un grembo che l’uomo occidentale sta violentando nella sua essenza profonda.  Il viaggio di Augusta insieme alla suora cattolica che impone il credo “giusto” agli sbigottiti nativi, e che si schiera a favore della costruzione di chiese mastodontiche con tanto di resort nel cuore – non più tenebroso, ma disboscato e violato – della giungla è denuncia bella e buona. Poi, nulla più.



 

 E’ proprio il tema della religione a essere quello più importante, quello che segna i destini delle protagoniste. In una continua contrapposizione tra spiritualità indigena e simbolismo cattolico; natura che di per sé contiene già tutti i crismi del Mistero del creato opposto  in montaggio alternato, un po’ stucchevole, sul mondo cupo, compresso e fortificato della chiesa cattolica. Piano piano lo scambio avviene e la vita con i suoi dolori cambia la prospettiva della protagonista, Augusta, che trova la fede nella natura e di sua madre che si trova a mettere in dubbio il Mistero che da sempre la accompagna.



Il lavoro documentaristico di Diritti si fa sentire con tutto il suo peso nella parte di ricostruzione antropologica della condizione di vita della comunità brasiliana abitante nelle favelas di Manaus presso la quale la ragazza in fuga si stabilisce.  Una giungla di latta e fango, sorrisi bianchi, i bambini venduti. Tutto viene sciorinato senza soluzione di continuità. Sembra che Jasmine Trinca in realtà non sia il personaggio principale ma solo l’elemento catalizzatore del discorso che Diritti vuole portare a termine.
L’inviata sul luogo del fatto.
La testimone.  
Sempre più attonita, la sua recitazione sottratta si narcotizza in momenti che sembrano non trovare l’intensità adeguata alla situazione. Ogni tanto, con il pretesto della scrittura di un diario, la voce over di Augusta spiega quello che le immagini dovrebbero dire.
E questo è un peccato.



Un giorno devi andare è un film tutto al femminile, dolente e profondo quanto ambizioso e irrisolto.  La maternità negata, gli uomini assenti o mostruosamente vili, il vuoto esistenziale da riempire azzerando la conoscenza e risalendo alla sorgente della vita in una circolarità che lega i destini degli esseri umani alla loro esistenza. Augusta, la madre, la suora missionaria, la ragazza brasiliana privata del figlio da una consuetudine aberrante si legano tra loro scambiandosi le anime in cerca di equilibrio. Una complicità naturale dettata dalla capacità divina di generare vita, immersa nella maestosità della natura stessa.
Bello nelle intenzioni ma molto discontinuo nei temi, troppi, Un giorno devi andare veleggia tra sensazioni e immagini “belle per forza”  imposte a reclamare per osmosi un’emotività che non sempre arriva  a bersaglio.
La macchina da presa vola, s’impenna sull’acqua, accarezza le fronde in cerca di poesia ma quello che si vede è merito della natura. Il quadro altro non ha se non ciò che mostra. L’emozione, forte, arriva alla fine, nella preghiera della ragazza brasiliana sulle spoglie di una bianca cattolica: senza simboli o ruoli dettati dalla chiesa, solo l’imposizione delle mani  e la consapevolezza che il divino risiede in noi al di là di qualsiasi credo e confessione. Ma è tardi, ormai, e questo momento molto intenso è diluito in una ovvietà un poco didascalica che ne smorza l’impatto.



Forse il carisma di questo film deriva proprio dal suo veleggiare alla deriva di ogni tema così come Augusta nel suo viaggio cerca l’approdo di una vita senza ormeggio.
Un giorno devi andare è certamente uno di quei film che reclama il suo valore dalle singole sensibilità che ad esso si accostano, riuscendo a farsi  intimo flusso di coscienza di ogni spettatore. E questo è un pregio, al di là di ogni considerazione stilistica.  In ogni caso , da vedere.

 

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