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Superstar

Regia di Xavier Giannoli vedi scheda film

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La recensione su Superstar

di FilmTv Rivista
6 stelle

Un giorno Martin Kazinski si sveglia ed è diventato una star. Mentre va al lavoro, sulla metropolitana, la gente lo riconosce, lo fotografa, lo applaude. Perché? Non c’è una ragione apparente. Martin è l’emblema dell’uomo qualunque, un anonimo signor nessuno. Eppure, a partire da quel giorno, tutti lo cercano, tutti parlano di lui, dalle piazze ai tg. La fama a volte è così: improvvisa, inspiegabile, irrazionale. Soprattutto in tempi di media cannibali che si nutrono di altri media (i più colti la chiamano “autoreferenzialità”), in un sistema di specchi che alimenta l’illusione (l’idolo), rendendo impossibile risalire dall’apparire all’essere, dal rumore di fondo dei tweet e delle news alla sostanza delle cose, ciò che chiamiamo realtà. Parla (anche) di questo Superstar, il nuovo film di Xavier Giannoli. E all’inizio lo fa con toni da commedia. L’equivoco genera bizzarre conseguenze, qua surreali e là grottesche. Poi, però, quello che sembrava solo un malinteso diventa un incubo angosciante (il regista ha citato Alfred Hitchcock e Franz Kafka come referenti doc), Kazinski si ritrova imprigionato in un meccanismo che lo stritola e Giannoli fatica a tenere insieme le ambizioni sociologiche e i risvolti drammatici di questa esile storia. L’idea arriva dal romanzo L’Idole di Serge Joncour, ma il titolo si ispira a una canzone dei Carpenters, poi rifatta dai Sonic Youth (i meno giovani forse ricordano la tragica fine dell’icona Karen Carpenter, divorata dall’anoressia, dalle droghe e dallo star system). Il regista, sceneggiatore e produttore francese, habitué del Festival di Cannes (questa volta, arrivato al quinto lungometraggio, era in concorso alla Mostra di Venezia 2012), si affida troppo alla propria abilità nel cesellare dialoghi brillanti e si intestardisce in una didascalica contrapposizione tra l’isteria contemporanea da talk show e il pudore di un brav’uomo che vuole solo essere se stesso. Funziona invece l’alchimia tra Kad Merad, il fragile, perplesso Martin, «l’uomo che diventa celebre perché non vuole esserlo», e Cécile De France, nei panni di una giornalista televisiva in crisi di coscienza. Vale comunque la pena dargli un’occhiata, anche se il finale vi farà arrabbiare.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 16 del 2013

Autore: Fabrizio Tassi

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