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Tutti i santi giorni

Regia di Paolo Virzì vedi scheda film

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La recensione su Tutti i santi giorni

di M Valdemar
6 stelle

Il tizio occhialuto barbuto capelluto è così fuori dal mondo da essere perfettamente credibile. Un personaggio strepitoso, Guido, coi suoi modi autenticamente cortesi, l’aria ingenua, il linguaggio forbito e “antico” - sia che si esprima nella lingua di Dante sia che lo faccia in inglese o in tedesco -, e un’aur(eol)a d’innata simpatia ad avvolgerne la figura candida e che non può non contagiare.
Assieme ad Antonia, altra outsider della vita, inquieta e ardimentosa, complicata e femmina, delicata e verace, dotata di vitalità e talento (nella finzione come nella vita cantante agli antipodi rispetto alla marmaglia di urlatori scomposti sputata fuori dai modaioli show televisivi), forma una coppia pazzesca per cui istintivamente e subitaneamente si fa il tifo. Scattata l’empatia, non resta che partecipare alla loro vita, le vicissitudini, le esperienze, gli ostacoli, le incomprensioni, il rapporto con la mera realtà. La realtà moderna, attuale, profondamente divisa in fazioni e scomposta, desolata, inghiottita nel maelstrom dell’immiserimento barbaro e volgare.
Loro sono fuori sincrono: immagini sfocate, voci inascoltate e dileggiate, comportamenti rispettosi scansati con sospetto, diversità temute ed osteggiate. Ostaggio di un mondo che ha perso la bussola, che non crede più in nulla se non nell’apparenza e nell’appartenenza. Chi non s’adegua è out.
Uno dei punti cardine della pellicola di Paolo Virzì è, per l’appunto, la descrizione di questi tempi confusi e spaesati; e lo fa, come è sua indole, con la consueta miscela di ironia, grottesco, sagacia ma anche semplice banalità riveniente dall’osservazione. Una delle scene più emblematiche, tragicomica nel suo essere spiritosa e al contempo riflessione intelligente di una situazione non proprio rosea, vede il nobile Guido affrontare un pugno d’incivili armati di cafoneria e manesche maniere: lui chiede, educato, e quelli rispondono, con violenza. Dal labbro e dal naso esce sangue e lui imperterrito con la sua garbatezza “charlottiana” rinfaccia loro che no, non ci si comporta così, perdinci; risultato: la bruta forza (uno strattone) e via, alè.
"Basta con la violenza!“; ma a dirlo (cioè grugnirlo) sono quelli.
Pure la beffa, il ribaltamento, il revisionismo; la volgarità nuda, cruda, bestiale.
Si ride, certo, ma il colore della risata è ammuffito, adulterato, affatto vivace.
L'intera opera, la cui sceneggiatura è tratta dal romanzo La generazione di Simone Lenzi (anche autore del copione con lo stesso regista e Francesco Bruni), cerca di esprimere un senso di bellezza e amore per mezzo di questa coppia che rischia di continuo e in concreto di contaminarsi con un ambiente che è tutto fuorché bello e amorevole. Ogni loro passo nell’ambiente-giungla è un aleatorio tentativo di guadare le sabbie mobili celate anche (e soprattutto) dalle più comuni e normali sterpaglie della quotidianità (i supercafoni vicini di casa; il rapporto con i genitori di lei; il lavoro; le assurdità affrontate nel voler mettere in pratica il desiderio di maternità; la generale ottusità del prossimo); e solo l’unione di queste due anime così “atipiche“, che rappresenta un’idea di armonia e bellezza, può farli proseguire nel loro percorso.
Invero, la struttura narrativa che sorregge le dinamiche di coppia - ivi compresi i dissapori, le avversità, i sensi di inadeguatezza, le “infiltrazioni” dal passato - è piuttosto classica, non particolarmente originale, e lo svolgimento segue binari sicuri e precisi ed a tratti stereotipati.
Però Virzì e sodali riescono ad imbastire una storia piacevole che cattura, bilanciando con abilità un registro brillante che oscilla tra causticità, umorismo (diverse sono le scene divertenti), sentimenti e indagine dell’uomo e della società.
Sarà pure un’opera “minore” la sua, ma è certamente meglio di tanti altri film simili ed anche di molti suoi stessi “maggiori” (incluso l’ultimo furbesco La prima cosa bella). Decisiva e felicissima si è rivelata la scelta di un cast poco (o per nulla) noto: se Luca Marinelli, che interpreta benissimo e “toscanamente” un Guido a cui si può solo guardare con affetto (e un po’ d’invidia), ha già all’attivo altri ruoli (il più conosciuto è quello di La solitudine dei numeri primi), Thony (nome d’arte della cantante indie che più indie non si può Federica Victoria Caiozzo), che cura anche le musiche (affascinanti ed “insolite”, intimiste, un incrocio tra Feist, Cat Power, PJ Harvey), è all’esordio assoluto; eppure la sua performance come Antonia è di una naturalezza ed aderenza incredibili. Dell’affiatamento tra i due, per quanto apparentemente opposti (ed anzi proprio per ciò), ne giova l’intero film.
Film che, qualora non si fosse capito, merita la visione.

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