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Bestiaire

Regia di Denis Côté vedi scheda film

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La recensione su Bestiaire

di OGM
8 stelle

Gli animali ci guardano. Una volta tanto, sono loro, con i loro occhi puntati su di noi, con le loro espressioni di curiosità e di attesa, i veri protagonisti dell’attimo. Nelle anguste scenografie della cattività, nei giardini zoologici o negli allevamenti, riescono ad interpretare la loro sofferta esistenza con i pochi movimenti colti dall’obiettivo, mentre attraversano fugacemente l’inquadratura, oppure la dominano nella quasi totale immobilità, o ancora la sfiorano, restano seminascosti oltre il margine di una visione anonima e muta. Quelle creature vivono al di là di pesanti barriere, dietro sbarre, lucchetti, muri e steccati: a volte sfidano l’invisibilità facendo spuntare un corno, una zampa, un dettaglio che, nella sua sfuggente concitazione, riassume un dramma del quale noi umani siamo i colpevoli, ma dal quale ci sentiamo esclusi.  L’essere segregato è l’altro che vorremmo sfruttare e studiare, ma che, in fondo, ci rifiutiamo di osservare davvero, per non rischiare di doverlo riconoscere come nostro simile. Eppure capre, zebre, scimmie, leoni condividono con noi il desiderio di libertà, la noia, lo stupore, il senso di dignità. Hanno corpi e, soprattutto, volti, sui cui tratti si possono leggere i vari moti dell’anima, tanto primitivi quanto intensi. Sono i soggetti in movimento all’interno delle rigide geometrie della loro prigionia: i portatori di un’individualità che, anche senza l’uso della parola, riesce a riempire la scena con le tracce palpabili delle loro emozioni. I loro ritratti  istantanei sono singoli battiti, momenti che racchiudono la manifestazione di un disagio, di un bisogno, di un interrogativo senza risposta. Denis Côté li vede e li trasforma in immagini da contemplare, scene slegate dalla storia del mondo, e sospese nell’attesa che il miracolo si compia e che si colmi, finalmente, l’innaturale divario tra le diverse specie del Creato. Il dialogo, totalmente mancante, è sostituito dal ripetuto tentativo di specchiarsi in un viso dalle fattezze estranee, che sembra volerci dire qualcosa, e invece tace. E nel frattempo noi ci convinciamo che, da parte sua, non potremmo mai ricevere alcun messaggio. Ma l’incomunicabilità è un’evidenza da accantonare: il nostro mondo e il loro convivono, su questo pianeta, uno vicino all’altro, scrutandosi e toccandosi. Entrambe le parti cercano un’unione che la netta distinzione di ruoli rende logicamente impossibile. Loro servono noi, e sono nostri subalterni anche quando li nutriamo, li curiamo, li ammiriamo per la forza, la bellezza, il fascino selvaggio. L’asimmetria deriva da una rigida organizzazione gerarchica, che implica un preciso concetto del possesso. Loro ci appartengono, come fonti di sostanze tessili o alimentari, o come personaggi di spettacoli naturalistici. Possiamo, però, far finta di incontrarli come se non li avessimo mai conosciuti, con il distacco che genera rispetto e annulla i  dislivelli. Potremmo vederli come scoperte nuove, difficili da capire, meravigliose da osservare, anche nella normalità della loro vita quotidiana. Pezzi da collezione che  si rivelano inaspettatamente ribelli alla nostra catalogazione, e, ad un tratto, semplicemente, esistono,  inquieti e trepidanti, dentro le situazioni prodotte dal caso, o dalla nostra aberrante volontà. Bestiaire è l’album fotografico di un universo inquadrato, imbrigliato nelle sterili definizioni date dall’uomo; un universo che, però custodisce, nei recessi del cuore, il germe di un’armonia ancora possibile.

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