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Tutto parla di te

Regia di Alina Marazzi vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Tutto parla di te

di alan smithee
6 stelle

Alina Marazzi, documentarista appassionata e sensibile, particolarmente attratta dalla figura femminile e dalle problematiche inerenti il ruolo della donna nella società, esordisce nella fiction con questo film che, come è stato detto, probabilmente chiude o completa una trilogia sulle donne iniziata con "Un'ora sola ti vorrei" e proseguita con l'applaudito "Vogliamo anche le rose". Un esordio a metà nella fiction, in verità, perché vediamo che la Marazzi non rinuncia alla presenza del materiale di repertorio, che anzi ha un ruolo fondamentale in un film intimo come questo, dove i ricordi (rappresentati da materiale d'archivio spesso in bianco e nero) hanno la meglio (anche qualitativamente) sul presente ricostruito con la finzione.
Il ritorno a Torino di Pauline, un'etologa francese con discendenza italiana, assente da cinquant'anni dal capoluogo piemontese, riaccende nella donna, forse un po' sola, certo molto riservata e riflessiva, i ricordi di una infanzia ormai lontana, non particolarmente difficile a livello di sostentamento, a quanto sembra di capire, e certo vista con una struggente nostalgia e con un certo misterioso senso di ansia per qualcosa che stenta a chiarirsi. Giunta a collaborare grazie all'insistenza di un'amica presso un consultorio familiare, la donna ha occasione di ascoltare le confessioni in video di alcune neo-mamme cadute in una particolare forma di esaurimento che le ha rese insicure e convinte di essere inadatte al ruolo fondamentale di madre. Poco dopo la donna conosce ed ha modo di frequentare Emma, una giovane ballerina che, divenuta madre più per caso che per scelta, accusa fortemente questa particolare depressione, un disturbo che la rende irritabile e scostante, ma che alla donna ricorda in modo impressionante la figura di sua madre, in un periodo in cui non esistevano terapie al riguardo e le sensazioni di inadeguatezza e le incertezze del proprio cuore venivano celate dietro una coltre di rassegnazione e dolore a stento trattenuto.
Senza toccare le situazioni più estreme (purtroppo tutt'altro che episodiche) come nel film Maternity blues dove le madri si erano spinte fino all'omicidio della propria creatura, il film della Marazzi ha il pregio di affrontare con passione e sentimento una tematica difficile e complessa come questa dell'inadeguatezza ad un "mestiere" al quale la natura dovrebbe provvedere con un sentimento istintivo che evidentemente non è così automatico, e dove il binomio amore/rifiuto sono generati in fondo tutti dallo stesso sentimento e dalla tensione che si crea in una donna nella fase più cruciale della sua vita: quella in cui metterà al mondo una creatura che per tutta la vita, in un modo o nell'altro, dipenderà da lei e a cui, nel bene e nel male, sarà legata per sempre.
Il problema principale del film della Marazzi è che il materiale d'archivio, dosato sapientemente da una regista molto esperta nel linguaggio documentaristico, supera in modo sin troppo evidente il lato "fiction" che appare un po' troppo inerte e convenzionale, rendendo il film troppo sbilanciato sulla prima riuscita parte della memoria, quella che quasi si rifiuta di tornare a riflettere su segreti dolorosi e volutamente sepolti di un'infanzia e di una maternità ormai lontana. Peccato anche che la regista non abbia saputo approfittare della eccezionale presenza di un'attrice dal volto meravigliosamente dolente e misterioso come la Rampling per rendere più convincente un presente che invece resta troppo piatto e monocorde, e dove per far nascere un'emozione non è sufficiente una confessione ripresa a tutto schermo su un viso di madre troppo improvvisamente incline al pianto per risultare credibile e convincente.

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