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Female Prisoner Scorpion: #701's Grudge Song

Regia di Yasuharu Hasebe vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Female Prisoner Scorpion: #701's Grudge Song

di Neve Che Vola
8 stelle

Siamo ormai al quarto capitolo della serie, ma non mancano spunti di un certo interesse.



Tralasciamo la solita fuga iniziale cui ci ha abituati Nami (Meiko Kaji), la Sasori (Scorpion) del titolo, che si difende anche a colpi di rose bianche, e tutta la parte in cui viene salvata da Kudo, uno che ha un conto in sospeso con gli sbirri (fu umiliato e torturato per fargli confessare i nomi dei suoi compagni di sommossa).

Di questa parte, l'elemento forse di maggior peso è il fatto che Nami riacquista la fiducia in un uomo (la sua avventura carceraria e la Canzone del Rancore Urami Bushi che fa da colonna sonora al film iniziarono a causa della fiducia tradita dal suo uomo) e col quale ha un rapporto sessuale (non ho capito un particolare: ad un certo punto, una prostituta, dopo averlo tastato nella zona pelvica, protesta che "non abbia più l'arnese", e quindi ora come fa? Oppure è un momento di ambiguità, registro sul quale a volte il film pare mantenersi? In un flashback il pubblico è avvertito che una delle sevizie consistette nel versargli acqua bollente proprio sui genitali, forse divenne solo impotente? In ogni modo, dice a Nami che solo dopo averla incontrata ha ritrovato sè stesso, e quindi anche le virilità?)

Vierne catturato e torturato nuovamente (il poliziotto arriva perfino a farlo incontrare con la madre che non vedeva da anni pur di indurlo a confessare), e confessa il nascondiglio di Nami.

Catturata, Nami pensa con rancore al tradimento del compagno, mentre Kudo sembra chiederle perdono, il tutto quasi "telepaticamente".

Condotta in prigione, è condannata al patibolo.

 

Il campionario sessuale, rispetto ai films precedenti, viene arricchito con delle eleganti guardie/soldatesse che portano la pistola, indossano gonna grigia, stivali, cappello e guanti neri da vere dominatrici.

Come corvi del malaugurio, ma bellissime e sinuose, sono artefici e fanno da testimoni alle esecuzioni sul patibolo nel cortile della prigione. Le prigioniere che lucidano le scale del patibolo sono redarguite:

 

La pena di morte... è una cerimonia indispensabile per una nazione che ha bisogno di ordine. Per cui dobbiamo fare attenzione a tenere pulito il luogo dell'esecuzione. Ricordate, un granello di polvere basta a far arrabbiare il capo.

 

La filosofia del capo - presunta ossessione per la pulizia, frusta sempre in mano, caschetto, età e viso ad hoc - è chiara e semplice:

 

La frusta è lo strumento migliore per domare una bestia. Bisogna far capire subito chi comanda.

 

Una delle prigioniere guadagna la pace della mente prima dell'esecuzione cui è condannata, recitando mantra e preghiere verso il Buddha, e la cosa suscita ammirazione nella bella ed umana secondina Miss Daimon (non sono riuscito a capire chi sia l'attrice) che crede nella possibilità di un pentimento che permetterebbe di andare incontro alla morte serenamente, e decide di farla incontrare con l'indomabileSasori, nella speranza che anche lei si riconcili con il proprio destino. Ma Nami rivela alla prigioniera la data della sua esecuzione, notizia che la secondina avrebbe preferito rivelarle il più tardi possibile, vanificando ogni tentativo di "autoipnosi" della disgraziata Inagaki.

 

Chiediamo perdono insieme.

 

La risposta di Nami è straordinaria:

 

Chiedi pure, ma questo non cancellerà la paura del patibolo. Lo sai questo, no? Vuoi davvero vivere. Provando a scrollarti il desiderio di vivere, tu indossi una maschera. Salirai sul patibolo tra quattro giorni.

 

La reazione di Inagami è immediata:

 

Stai mentendo! Non dirmi stronzate!

 

Di notte, la prigioniera chiede aiuto disperatamente, mentre sogna. La secondina si rende conto dell'accaduto, ma la calma torna ad avvolgere la condannata.

Nami viene costretta ad assistere all'esecuzione.

Abbastanza ridicole alcune battute, eppure in tal contesto "ipnotico" non lo sembrano. Non mi è chiaro se l'intenzione del regista sia ironica, se si tratti di ingenuità, forse ignoro come si comporterebbero delle secondine giapponesi reali in tali occasioni. La donna "tranquillizzata dal Buddha" si toglie la benda di colpo e di fronte al patibolo comincia a invocare aiuto, al che una soldatina le chiede:

 

Miss Inagaki, tutto bene?

 

Prevedibilmente la sventurata si dimentica del Buddha - pare che il ruolo della martire non le piaccia -, torna a dimenarsi e a tentare di fuggire, ma le soldatesse, aiutate da due uomini, la fanno salire sul patibolo e l'esecuzione ha luogo e pone finalmente fine alle urla della poveretta. L'ultimo urlo è in diminuendo, mentre cade nella botola, per motivi abbastanza chiari.

Non si sa se ridere o se piangere di fronte a simili atrocità condotte in forma di rito - questa è la cosa più schifosa - in forma di rito(rsione), in cui le "dominatrici" sembrano sentirsi tranquille come se l'azione fosse giusta - una specie di volere inevitabile di Dio.

E tutto questo riferimento al senso di colpa, alla colpa da espiare, è atroce. Ora non voglio ricominciare tiritere sulla colpa, ma sono veramente atroci le culture che così tanto di sè investono in una simile primitiva idea. L'unica colpa è l'incoscienza, ma di questa non si può essere colpevoli, si può solo aspettare che svanisca. Non esiste possibilità di operare il male scientemente. Dostoievsky sul tema ha scritto uno dei massimi capolavori della letteratura mondiale - Ricordi (Memorie) dal sottosuolo - in cui sostiene che il male operato scientemente verso sè stessi sia teso in realtà a preservare un bene superiore - il senso di identità.

Secondo me è una prospettiva di importanza capitale, non si è ancora capito fino in fondo che i criminali sono dei malati e come tali bisognosi di cure, non di sevizie od espiazione di colpa. L'idea di un Dio, di un Padre che premia o punisce i suoi figli ha tutta l'aria della legittimizzazione del potere di uno sugli altri.

La "capa" delle dominatrici - quella col caschetto, età e viso ad hoc, oltre alla frusta sempre in mano - sembra perfino imbarazzata dal cattivo comportamento della prigioniera, del resto stava solo per salire sul patibolo, con l'aiuto del Buddha.

 

Questa sarà anche la tua fine, presto.

 

ricorda il detective a Nami.

La scena rimane comunque una fantasia sadica - fin troppo reale -, in particolare noto una specie di strano contrappunto tra l'assunto tragico e l'esibizione di elementi sadomaso. Nami viene costretta a lavare con accuratezza le scale del patibolo, ripresa dal basso e in obliquo, fornendo allo spettatore la visione dell'intera secondina "umana", Miss Daimon, con gli stivali in evidenza e la gonna da cui traspare appena qualcosa. Da una parte ella sembra proprio "umana", ora parla con odio dell'accaduto:

 

Stava andandosene in pace e l'hai spinta giù all'inferno.[schiaccia una mano di Nami] Un demone, sei un demone! Ti farò sapere al più presto la data dell'esecuzione. Fino ad allora, spero tu abbia incubi sull'essere impiccata ogni notte. Morirai di paura come lei.

 

Mah! Non capisco se sia seria o se scherzi... se tutto sia volutamente e magistralmente tenuto sull'ironico... come se i tocchi di surrealismo dei precedenti capitoli avessero assunto un'altra via... una specie di surrealismo realistico...

 

Ma una brutta sorte attende la bella e coscienziosa guardia: viene fatta violentare agli uomini del detective, per ottenere - in cambio del silenzio sul trattamento umiliante riservatole - che faccia finta di essersi lasciata sfuggire la prigioniera, per dargli modo di gustare il piacere di impiccarla, in un luogo appartato, con le sue stesse mani.

 

Perchè morire lì sul patibolo del carcere, sarebbe stato troppo poco, per la terribile Sasori!

 

Ma il luogo deserto è fatale al poliziotto: dopo il "calcio allo sgabello" di rito, con la testa nel cappio e già penzolante, Nami riesce a districarsi come una ginnasta, a scalciare l'uomo e ad evitare due proiettili, nonchè a far finire lui con la testa nel cappio dopo aver sfondato il pavimento del patibolo per creargli una zona di vuoto sotto i piedi. Il tutto ottenuto con un montaggio ad hoc... una giapponesata doc!

 

Nami si allontana ed appare a Kudo con cappello e soprabito nero, gli salda il conto, e questi le chiede perdono morendo. Abbastanza ai limiti del ridicolo ed inverosimile, considerando che Kudo è stato torturato a lungo prima di cedere e tradirla. Ma in tal contesto visivo e psicologico regge, forse è il senso della cerimonia tipico del Giappone a fornire il contesto - da cerimonia, appunto - nel quale diventano perdonabili e logici elementi piuttosto incredibili.

 

Anche la frase di Nami che segue non è da meno:

 

Non ho ucciso te, ho uccisa la Nami Matsushima che ti aveva creduto.

 

del resto, è un film in cui una donna canta la canzone del rancore.

E rancore sia...

 

Forse aveva compreso tutto Sviatoslav Richter quando parlando del Giappone e della bellezza di alcune sue zone, disse:

 

In giappone tutto è perfetto. Forse, troppo perfetto.

 

Dietro si nasconde l'altro lato della medaglia.

 

In definitiva mi riesce difficile dirlo un buon film, ma del resto anche dire che sia meno di un buon film. A prescindere dal look delle secondine...

Batto il martello sulla cattedra:

 

Quattro stellette, l'udienza è tolta.

 

Sull'interpretazione di Meiko Kaji

Davvero eccellente.

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