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Il castello di Vogelod

Regia di Friedrich W. Murnau vedi scheda film

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La recensione su Il castello di Vogelod

di OGM
8 stelle

Un Murnau minore, che trae spunto da un racconto di Rudolf Stratz per comporre un crepuscolare saggio cinematografico sull’ambivalenza, sul difetto di comunicazione, sulla falsità che divide gli esseri umani. Questi  temi sono sviluppati attraverso la rappresentazione teatrale del sospetto, della solitudine del segreto, dell’ipocrisia che sottrae serenità ai rapporti interpersonali. La verità è la costante, onnipresente e nascosta, di questa vicenda, che domina, invisibile, la scena, incuneandosi come un fantasma tra i personaggi. Sapere, non sapere, sapere altro, sono le tre condizioni che determinano le oscure dinamiche di questa storia,  ambientata in un castello, in cui un gruppo di aristocratici, convenuti per partecipare ad una battuta di caccia, si ritrovano inopinatamente coinvolti nella soluzione di un mistero. Ad alterare l’atmosfera, inizialmente distesa e conviviale, è l’inatteso arrivo del presunto assassino del primo marito di una delle invitate: un evento sinistro, a cui segue, subito dopo, l’inquietante sparizione di un altro ospite.  Il conte Oetsch è l’intruso che, improvvisamente, infrange il precario equilibrio indotto dell’oblio e della superficialità, in cui ogni interrogativo giunge come un catastrofico rimando alla sgradita pesantezza della realtà. Egli è l’incarnazione del dubbio che attacca la certezza, del buio che insidia la luce, dell’evidenza che fa vacillare le convenzioni.  E, al pari di un catalizzatore, fa evolvere la situazione senza parteciparvi attivamente; è la sua semplice presenza – che risulta tanto più efficace, quanto più resta in disparte – ad innescare lo sviluppo verso la definitiva chiarificazione. Il ritmo è lento, come in tutti i processi di maturazione spontanea; e a sottolineare l’irrilevanza dell’azione umana di fronte alle necessità metafisiche contribuiscono le scenografie ampie e profonde, che i personaggi attraversano spesso con  fare esitante, come misurando i passi, in prossimità di un pericolo incombente e sconosciuto. Molte sequenze sono scene con due soli personaggi, in cui la separazione tra i protagonisti si traduce in una sorta di barriera interpretativa, in un contrasto che impedisce l’armonia tra i corpi, e la consonanza tra le espressioni: i due individui sembrano appartenere a due distinti contesti emotivi,  appaiono sproporzionati come lo sono figure sottoposte ad una deformazione prospettica. Questo è, in realtà, proprio l’effetto ottico prodotto da una distanza, che, però, in questo caso, è lo scarto “metafisico” tra i due personaggi nel percorso che conduce alla rivelazione finale. Ne Il castello di Vogelod  la narrazione è un discorso attento e rigoroso nella struttura portante,  ma indugiante e bisbigliato nella forma esteriore; come se volesse mostrarci, una ad una, le piccole incrinature attraverso cui la verità si fa gradualmente strada nel fragile territorio della menzogna.

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