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Elles

Regia di Malgorzata Szumowska vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Elles

di Theophilus
6 stelle

ELLES

 

Elles come elle. Il film di cui andiamo a parlare sembra voler stabilire un’identità fra ‘loro’ e ‘lei’. Elle è la rivista femminile edita in Francia, ma anche la giornalista che vi scrive, Anne. Elles sono, appunto, ‘loro’ o, meglio, nella nostra lingua, ‘quelle’. Un gruppo denominato con un pronome personale che, nella fattispecie, aderisce bene al gioco psicologico che si vuole proporre, ma che in generale serve tuttora a mascherare un imbarazzo moralistico irresolubile.

In un altro mondo, i sacerdoti depositari di una religione oggi smascherata ed estinta se la sarebbero cavata salvandosi in corner con l’utilizzo del sacro aggettivo ‘borghese’ posposto all’altrettanto venerato sostantivo ‘famiglia’, preceduti entrambi dalla magica parola ‘crisi’. ‘La crisi della famiglia borghese’ – aggiungiamoci pure termini  quali ‘valori’, ‘società’, ‘consumismo’ a dare maggior lustro all’indignazione – era un mantra rassicurante e facile per giustificare – fra tante altre ‘storture’  - la presenza di quello che, come tutti sanno, è “il mestiere più vecchio del mondo”.

D’altra parte il massimo sfiorabile da un punto di vista linguistico, in anni ancora più lontani era stato quello ironico di ‘signorine’ o, più spesso, ‘quelle signorine’ o ancora, appunto e con maggior disprezzo, solo ‘quelle’. Oggi la (anti)politica ci ha consegnato l’accomodante e politicamente corretto escort che sembra aver messo tutti d’accordo. Non ci si deve più sciacquare la bocca e snocciolare qualche Ave Maria per aver pronunciato termini sconvenienti e non si corre più il rischio di essere scambiati per nostalgici ‘rivoluzionari’ frementi d’indignazione e rabbia.

Elles – lungometraggio franco/polacco/tedesco girato nel 2011 da Malgoska Szumowska e con protagonista principale Juliette Binoche- è la cronaca di alcuni incontri fra una giornalista e due ragazze per ricavarne un articolo. Avete letto bene. Le abbiamo chiamate ragazze, in ossequio al titolo di una rassegna - “cattive ragazze” - all’interno della quale abbiamo assistito alla proiezione. ‘Ragazze’ non per buonismo o per condiscendenza, ma perché il termine sembra calzare meglio di ogni altro l’incapacità di capire, che sconfina con lo smarrimento, da cui è presa alla fine la protagonista del film. Suo malgrado, Anne è costretta a rimangiarsi in cuor suo tutti i cliché da cui era partita.

Il problema è che il film più che rivalutare il ‘mestiere’ propende a togliere valore al mondo esterno che, a sua comoda difesa, ha steso un cordone sanitario attorno all’altro mondo. Come che si trattasse di due cose ben distinte, nette, separate. Il film, non potendo avallare una concezione paritetica fra i due momenti, finisce coll’aggirare l’ostacolo mettendo in discussione, se non negando, lo status di prostitute alle due donne.  Da un lato non proprio un riconoscimento, quanto piuttosto il prendere atto della fuga da una vita che altrimenti elles non saprebbero come affrontare e che ricordano di gran lunga peggiore della strada che hanno intrapreso: non disprezzano per nulla la loro condizione che, inoltre, non crea loro alcun problema. Dall’altro il progressivo venir meno del bisogno di giustificare  e la tentazione sempre più forte di evadere da un mondo (quello della giornalista che, però, diventa simbolo generale e interlocutorio) che ostacola la  fantasia e il desiderio.

Attraverso la cronaca visiva degli incontri con gli uomini, assistiamo anche a momenti che sembrano apparentarsi ad una reale complicità e al negarsi delle donne perché “non ne hanno voglia”. Anne domanda alle due intervistate se lo fanno solo per i soldi, probabilmente dando per scontata una risposta affermativa che, però, non arriva. Il film, infatti, sembra avvalorare l’ipotesi (o è una tesi precostituita?) che elles finiscano quasi coll’innamorarsi – ricambiate – di alcuni dei loro clienti. Il film è uno sguardo tutto al femminile sul lato oscuro dell’amore. A partire dalla regista. Anne è (infelicemente) sposata e ha due figli maschi. Dal primo la separa un’incomprensione insanabile, al più piccolo si àncora procrastinando il pensiero che anche lui crescerà.

In sala, delle circa quaranta persone che assistevano alla proiezione, solo sei erano uomini.

 

Enzo Vignoli

16 novembre 2012

 

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