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On the Road

Regia di Walter Salles vedi scheda film

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La recensione su On the Road

di ROTOTOM
4 stelle

Manuale di conformità al testo manifesto dell’anti conformismo. Tremano i polsi al solo pensare di portare sullo schermo un testo del genere e se per 60 anni questo non è successo significa che le difficoltà di riprodurre non tanto le atmosfere degli USA anni 50 quanto lo spirito del tempo descritte da un tumultuoso testo frammentato e istintivo , venivano giudicate insormontabili.
E così è . La storia ci parla del gran rifiuto di Marlon Brando su sollecitazione dello stesso Kerouac, dell’interesse del clan dei Coppola poi scemato ma fino ad un certo punto visto la presenza della Zoetrope tra i produttori e Roman Coppola come produttore esecutivo di questo film di Walter Salles, già avvezzo alle biografie on the road vista la militanza mimetica attuata con I diari della motocicletta, sugli anni giovanili del Che.
Mimetismo che poco si adatta ad una storia vomitata su un rullo di carta, confusa tra benzedrina e polvere, sesso e promiscuità e tanta leggenda accumulatasi negli anni. Come i ricordi che col tempo si modificano, si inspessiscono di significati e perdono la sostanza degli eventi, anche le millanterie incrostatesi con il tempo riguardo la bibbia della beat generation sono più importanti della storia. Qualcuno dice che in realtà Sal Paradise alias Jack Kerouac rimanesse a casa dalla mamma mentre riceveva le visite di Dean Moriarty alias Neal Cassady, il vero beat, che gli raccontava delle sue imprese. Kerouac bamboccione beat. A volte le leggende sono un po’ bastarde, non sai mai da che parte prenderle.
On the road , di Walter Salles al dispetto del titolo va fuori strada.  Arriva con un bagaglio di 60 anni di storia sulle spalle e tenta di ricostruire i fatti che portarono alla stesura del prezioso manoscritto, si propone di dare carne a spiriti liberi, liberare spiriti casalinghi , dare volti a leggende e date a fatti comprimendo però il tutto in una struttura narrativa didascalica e conformista una storia che dovrebbe essere lo zenit della trasgressione e del mito di libertà che investì i giovani americani all’inizio degli anni 50.  Profondamente legato ai “fatti” Salles si dimentica dello spirito, dei corpi, del “beat”, il ritmo che muoveva anima e coscienze. Non basta ficcarci dentro un musicista nero. Non è quello il beat, il ritmo deve essere scandito da un narrazione anarchica, libera dagli schemi narrativi  tradizionali ed elevare il racconto a metafora astratta. Altrimenti tutto suona spaventosamente datato, fuori tempo massimo, inutile. Non serve neppure filtrare il tutto in una fotografia retrò color ruggine. Lo spazio, corpo di una nazione che viene attraversato, vissuto e posseduto, qui viene totalmente rimosso a favore di primi piani in sovraeccitazione attoriale. L’unica eccitazione del film, peraltro.  L’ideale di trasgressione anni 50 contenuta nel film, se non sorretta dalle motivazioni, dal contesto e dal desiderio di bruciare  la vita per sentirla vivere nei corpi, al confronto con le derive psico-sessuali spadellate su social network di certi nostri adolescenti contemporanei, stimola il riso  e sorprende per ingenuità. 
Gli attori Sam Riley e Garrett Hedlund, ce la mettono tutta, per carità, per fare le facce da giovani ribelli assetati di vita. Ma non ci riescono, restando impegolati in un reticolo di dialoghi ridondanti non necessari. Kristen Stewart per mere esigenze di sceneggiatura e vendibilità del prodotto viene elevata irragionevolmente a coprotagonista. Impegnata com’è a rifarsi un imene artistico dopo le disastrose prove dei vampiri anemici, esibisce il solito, ottuso broncetto, saltuariamente si dimena, mima la masturbazione a due mani ai suoi amici beat e quando scopa non si toglie le mutande.
On the road disattende ogni aspetto del mito: il viaggio è importante non la meta, questa la ragione e la natura  della strada. Il film è un prodotto piatto come un viaggio organizzato per turisti annoiati, che dormono durante il volo in attesa di provare qualche brivido, contenuto e pianificato a pagamento, nella meta agognata.
Se il confronto con il lo spirito del libro non regge, il film crolla sotto ogni aspetto anche rimuovendo l’ingombrante titolo. Piatto, poco appassionante, inutilmente lungo e prolisso. Un film mainstream pudico  e convenzionale, adeguato a palati poco fini che sfrutta un mito per fare un po’ di cassa richiamando al cinema spettatori che con quel tipo di mito, di letteratura, non hanno mai avuto nulla a che fare.  Proprio non ci siamo.

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