Regia di Aurelio Grimaldi vedi scheda film
Le troiane - tragedia di Euripide, ripresa da Seneca - restituisce un mondo di rovine: tutto è già avvenuto, la Guerra di Troia ha fatto tabula rasa della maggior parte degli uomini, ha annullato l’umanità dei superstiti. Gli eroi cantati dal Mito sono ridotti a sadici bramosi di sangue, le donne troiane destinate alla schiavitù incarnano il punto di vista dei vinti, coriacee in una dignità impossibilitata a difenderle dall’offesa finale. Aurelio Grimaldi si concentra soprattutto sulla linea narrativa dedicata ad Andromaca, vedova di Ettore, che i Greci vogliono privare del figlio Astianatte: l’ultimo possibile Re di Troia. L’ambientazione naturalistica in terra calabra (con qualche risvolto pittorico che sfocia nel cartolinesco) fa risaltare una recitazione (decisamente ondivaga in qualità) esasperata, che provoca nello spettatore un vago senso di alienazione; la messa in scena simula una sorta di rigore nella frontalità, nella stilizzazione, nell’asciuttezza della composizione, ma poi devia, sbraca in un montaggio ricercato, ottusamente moderno, che fa crollare l’unica sensazione plausibile di fronte a opere come questa: l’essere fuori dal tempo propria del Mito. Così L’ultimo Re finisce per essere un oggetto anomalo e irrisolto, figlio deforme di un cinema impossibile da riproporre (l’Edipo Re e la Medea di Pasolini, autore/ossessione del regista). Nonostante le intenzioni, purtroppo, è teatro decontestualizzato, cinema poverissimo.
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