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The Conspirator

Regia di Robert Redford vedi scheda film

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La recensione su The Conspirator

di sasso67
7 stelle

The Conspirator non è un film innovativo, ma uno di quei lavori che costituiscono il filone del cinema impegnato e spettacolare che parte almeno dagli anni Settanta per arrivare, un po' diluito, fino ai nostri giorni. Non per niente, il regista ne è il Robert Redford democratico, a suo tempo protagonista di Tutti gli uomini del presidente. La storia è quella, ormai abbastanza nota, della prima donna impiccata dalla giustizia degli Stati Uniti d'America, l'unica donna condannata per la sua implicazione nella congiura che culminò con l'assassinio del presidente Abraham Lincoln. Quest'ultimo fu ucciso dall'attore teatrale John Wilkes Booth proprio mentre assisteva alla rappresentazione di una farsa al teatro Ford di Washington, durante gli ultimi giorni della Guerra di Secessione. L'assassino (che in quanto tirannicida pareva predestinato, avendo un padre che si chiamava Junius Brutus e un fratello di nome Junius Brutus jr.) aveva preparato l'attentato insieme ad alcuni complici nella locanda gestita dalla madre di uno di questi, la vedova Mary Surratt. È proprio lei la cospiratrice del titolo, la donna che fu impiccata insieme ai complici di Booth, il quale rimase ucciso nella sparatoria con i soldati che cercavano di arrestarlo.

La tesi del film di Redford (tesi condivisibile e ormai generalmente accettata) è che la Surratt c'entrasse poco o niente con il complotto, ma che il suo fu un processo politico - tenuto contro una civile di fronte a un tribunale militare - e che la sua condanna a morte fu voluta dai collaboratori di Lincoln come monito e come rappresaglia per non essere riusciti a mettere le mani addosso a John Surratt, figlio della donna nonché uno dei congiurati. L'ottica attraverso la quale viene narrata la vicenda è quella di un giovane avvocato, laureato a Harvard e ricopertosi di gloria sui campi di battaglia della guerra contro i Sudisti. Dapprima titubante, il giovane legale si rende conto della macchinazione contro la propria cliente, appassionandosi personalmente all'inchiesta relativa al processo alla Surratt, fino a mettere in discussione le amicizie e il rapporto con la fidanzata e la sua stessa carriera forense, una volta accortosi che la giustizia del paese per cui aveva combattuto piegava la testa di fronte alle ragioni della politica. Una didascalia finale ci informa infatti che il giovane lasciò la toga dopo quel processo, per dedicarsi al giornalismo, diventando uno dei fondatori del Washington Post (guarda caso il quotidiano per cui lavoravano i due protagonisti di Tutti gli uomini del presidente).

Quello di Redford è un cinema classicamente americano, nel senso che fa autocritica del passato per riferirsi ad un presente del quale loda comunque i progressi fatti: qui sembra voler dire che, grazie ai cambiamenti apportati in campo legislativo, al giorno d'oggi non sarebbe possibile che un civile venisse processato da un tribunale militare, né sarebbero lecite le pressioni politiche su una procedura squisitamente giudiziaria. Sospendendo il giudizio su quest'ultimo punto, si può apprezzare lo sforzo di proporre un buon dramma costruito su uno sfondo credibilmente storico, nel quale si muovono anche buoni interpreti, tutti a un ottimo livello, tra i quali i volti più noti sono quelli di Robin Wright e di Kevin Kline.

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