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Inside Job

Regia di Charles Ferguson vedi scheda film

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La recensione su Inside Job

di lamettrie
10 stelle

Un documentario perfetto. Un’opera d’arte ineccepibile, nel suo genere, al servizio della verità su una delle maggiori piaghe che affliggono il mondo contemporaneo: i crimini voluti dai banchieri e dai grandi imprenditori.

I loro misfatti sono gli atti che determinano maggiormente il mondo in cui viviamo, e quello le cui conseguenze facciamo pagare ai nostri discendenti (figli, nipoti…) un domani.

Terrorismo, fondamentalismo religioso, il nazionalismo che spesso rigurgita ignoranza: tutti questi sono fomiti, cause reali di tanti problemi del mondo in cui viviamo. Eppure questi, messi assieme, non riescono ad avere, neppur lontanamente, la potenza negativa (in termini quantomeno di diritti umani, oltre che economici), che mettono in atto i maggiori esponenti dell’economia.

Il film lo fa capire bene. Non c’è allegoria, non servono fronzoli: si tratta di delitti premeditati. Come mai gente che ha studiato ad altissimi livelli, che anche in virtù di tale competenza è assurta alle massime responsabilità politiche e non solo, si è potuta macchiare di tale efferatezze? La risposta è una sola: la sete di ricchezza e potere che non trovino alcun freno né nella morale, né nei diritti umani.

Si può essere grandi studiosi e criminali? Sì, questo il film lo dimostra mirabilmente; ma ciò era stato dimostrato molto prima, innumerevoli volte, da uno studio appena competente della storia generale, e neppur tanto specialistico. L’intellettualismo etico va lasciato a Socrate, pur con tutti meriti che forse questi ha avuto (senza dimenticare che forse tale intellettualismo etico è stato un errore più partorito da Platone, che non da Socrate o altri).

Come si vede nel film, ingannare le persone, persuadendole a comprare azioni e titoli proprio mentre si scommette in favore del fallimento di tali azioni e titoli: questo richiede grande capacità di studio, che è indispensabile per coprire bene tali reati. Rendere impunito il crimine dei grandi imprenditori e banchieri, come si è visto nella grande maggioranza dei casi, è poi anche  l’unica specializzazione richiesta ai politici. Questi possono diventare politici solo se danno con largo anticipo ampie garanzie che, appunto, renderanno legale ciò che d’illegale fanno i loro datori di lavoro, ovvero i grandi imprenditori e i banchieri. Questi ultimi pagano ai politici la campagna elettorale, e sono poi gli unici che permettono loto di essere eletti.

Se scegliessero altre strade, questi candidati si candiderebbero a una sicura sconfitta; se poi tali candidati scegliessero altre strade che fossero davvero coerentemente dirette al rispetto dei diritti umani e della giustizia in generale, allora questa sarebbe quasi certamente una delle principali cause del loro insuccesso. Il film mostra benissimo questo: le commissioni politiche che devono controllare, che devono vigilare affinché le leggi vengano rispettate, non lo fanno. E, non lo fanno, non perché siano ignoranti: infatti per arrivare a un certo punto, quel punto, hanno dovuto studiare parecchio. Ma lo fanno, invece, perché sanno che un errore tecnico (“non sanzionare chi infrange le leggi dello stato”) è visto non come un ostacolo alla carriera: ma, bensì, proprio come il contrario. È in realtà visto come un prerequisito indispensabile per fare carriera, ovviamente al soldo di chi paga la loro campagna elettorale, al soldo di chi è l’unico che può decidere se farlo perdere o vincere, indipendentemente dai suoi meriti verso i diritti umani.

O meglio: se offusca i diritti umani, la sua carriera può procedere meglio, perché, così facendo, non mette in luce le malefatte eventuali di qualche banchiere o grande imprenditore, tra i quali magari c’è anche chi lo paga. Se invece non offusca i diritti umani, ma invece li promuove, allora la carriera può ben dirsi stroncata sul nascere. Infatti una coerenza di quel tipo può, in qualche momento, mettere in luce le malefatte eventuali di qualche banchiere o grande imprenditore, tra i quali magari c’è anche chi lo paga.

Il film ha soprattutto questo merito. Mostrare che lo studioso sfornato da una buona facoltà di Economia e commercio (più è valido, meglio è) rischia di stare proprio a metà strada tra queste due figure indispensabili nell’attuale (da svariati decenni) panorama: il padrone, uno dei boss delle banche e della grandissima imprenditoria (che però può aver fatto innumerevoli scempi, anche se non è detto che tutti tali ricchi abbiano fatti tali scempi), e l’indispensabile servo, cioè quel politico che rende legale ciò che è inaccettabile alla luce delle costituzioni quasi ovunque vigenti dai decenni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale (e questo lo si dice al di là dei difetti di tali costituzioni, che pure ci sono).

Questo film dura due ore: è basato su prove inoppugnabili. Eppure, a distanza di sette anni, chi ha fatto di tutto per creare questi disastri si è arricchito, e non ha pagato le indispensabili conseguenze (almeno nella netta maggioranza dei casi). Chi, invece, si è tenuto lontano da tale razzia, e non si è voluto ingrassare grazie ad essa, ci ha rimesso in prima persona: avrebbe guadagnato molto di più, in termini di carriera e potere, se avesse accondisceso a tale squallore. Ma ciò sarebbe stato stridente con la sua gioia di fondo. Chapeau, a chi ha fatto così: sulla lunga distanza, probabilmente costui è stato più felice anche se, così facendo, ha qualche migliaia di euro in meno; e magari tante migliaia di euro in meno. Ma tale rinuncia a ricchezza e potere era indispensabile per essere felice, e quindi ha fatto bene a rinunciarvi.

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