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Et in terra pax

Regia di Matteo Botrugno, Daniele Coluccini vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Et in terra pax

di alan smithee
6 stelle

Storie di borgata, di periferia romana che vive di espedienti e della speranza di riuscire ad imbroccare la via giusta per fare i soldi e scappare via per sempre. Tre storie, precisamente, che si intersecano tra di loro fino a concatenarsi una con l’altra in occasione del loro drammatico evolversi, secondo il quale nessuno potrà mai uscirne vincitore, e qualcuno nemmeno avrà la fortuna di uscirne vivo.

Nell’estrema periferia romana, Marco si ritrova fuori del carcere dopo che fu incarcerato, cinque anni prima, come unico imputato per un illecito in cui egli coprì altri complici, che grazie alla sua omertà hanno continuato il loro operato clandestino: vorrebbe cambiare vita, ma il richiamo alla delinquenza da parte dei suoi ex compagni, animati per l’occasione da un controverso spirito di riconoscenza, lo ricacciano in strada a spacciare su una panchina del quartiere.

Quello stesso quartiere ove bighellonano tre ventenni senza arte né parte, uno dei quali, figlio solo in parte riconosciuto di un palazzinaro re del quartiere, arrotonda le mance paterne facendo segretamente marchette e dunque prostituendosi con ricchi uomini d’affari.

Nel bar-bisca della zona, una ragazza laureanda ottiene un posto part time in nero, e nel tragitto casa-lavoro conosce e si intrattiene col Marco di cui sopra, e l’appeal tra i due è così naturale che fa pensare alla possibilità che tra i due possa nascere anche un sentimento più intenso.

Peccato che la vita riservi scherzi del destino e sfortune sfacciate di trovarsi nel posto giusto al momento sbagliato: una lite tra i tre amici per la scoperta dell’attività segreta del figlio di papà innesca la scintilla per accendere la bestia e far scoppiare la tragedia, e poco dopo la ancor più drammatica resa dei conti.

L’esordio nel lungometraggio da parte del duo registico Botrugno/Coluccini, selezionato ed accolto con successo alle Giornate degli Autori al Festival di Venezia del 2010, è un film piuttosto riuscito che si trasforma in uno specchio disincantato e realistico della quotidianità da borgata, che si trasforma da abitudinaria e sonnecchiosa routine, ad una vera e propria guerra tra clan o caccia all’uomo spietata come nel peggiore di tutti i ghetti.

Ritroviamo ora i due bravi autori nell’imminente ed ancor più ambizioso Il Contagio, presentato pure lui alle Giornate degli Autori a Venezia 2017, pure lui specchio verosimile di una vita di borgata, dove il cemento domina ed opprime, oltre che a far da sfondo alle tragedie di una vita senza via d'uscita, purtroppo solo parzialmente (ahimé) tratto dal grande omonimo romanzo corale di Walter Siti.

 

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