Regia di Sergio Castellitto vedi scheda film
Gli anziani sono simpaticamente stralunati ma schietti, i giovani vagabondano disorientati, i borghesi, progressisti arrivati di mezza età, uomini e donne, vivono mentendo, soggiogati da fobie e libidine. Castellino, regista di “ La bellezza del somaro”, nel diagnosticare i mali dell’Italia di oggi, stabilisce una gerarchia genericamente etica tra le generazioni, in base alle quale colpevolizza in primo luogo se stesso e il ceto di professionisti benestanti ed intellettuali cinquantenni, di cui si sente parte. Raduna infatti un microcosmo esemplare di categorie sociali e tipi umani in un casolare di campagna, fornendo all’esplosione di conflitti latenti e contraddizioni eterogenee un’occasione d’oro nella supposta presenza di Armando( Enzo Jannacci) nel ruolo di innamorato ricambiato di Rosa, figlia dei padroni di casa ancora liceale ( Nina Torresi): l’imbarazzante love story, una contaminazione fra“Harold e Maud” e “Indovina chi viene a cena”, irrompe all’insegna di una comicità dispettosa all’interno di un gruppo di supposti privilegiati fermamente arroccati sul proprio edonismo infelice ed impotente. Il detonatore messo in atto dall’unione fra la ragazzina, brava a scuola, e il vecchio, saggiamente imperturbabile, funziona perfettamente perché è scandalosamente antitetica allo spirito dei tempi: la pellicola non precisa molto la natura del rapporto fra Armando e Rosa, ma, lo si capisce chiaramente, non si tratta di sesso o di passione quanto piuttosto per lui dell’illusione di un ritrovato vigore e per lei, tutt’altro che una seducente Lolita, di stabilità affettiva. Se i suoi compagni di scuola si accontentano di avvolgersi attorno a un pitone, come alla coperta di Linus, l’adolescente dotata vuole un maestro/genitore forte in un mondo che ne è clamorosamente privo e la latitanza di una guida ideale si riflette nei comportamenti grotteschi e strampalati di adulti e giovanissimi, di sani e disturbati: urla feroci, litigate, sensi di colpa, emersione del represso e persino l’ossessione della morte, scandita da una messinscena maniacale del “Settimo sigillo “ di Bergman. La casa sommersa nel paesaggio campestre, luogo d’ozio nel quale si avverte l’inesorabile trascorrere del tempo, rimanda al cechoviano “Giardino dei ciliegi”, se non fosse per la costante apparizione di un somaro; esso assiste testimone impassibile allo messa in discussione, salutare in quanto solamente provvisoria, del comodo, per quanto ipocrita, sistema di vita della coppia Castellito/ Morante ed alla prospettiva volutamente parodistica della bestia stupida per antonomasia l’autore affida il compito di manifestare una sorta di sarcastica condanna di ciò che si vede e si sente. Nell’affollata panoramica d’insieme certo sbiadiscono i singoli disagi, ma all’ombra dei ciliegi niente di nuovo si vede e soprattutto niente di serio. mio blog: http://spettatore.ilcannocchiale.it
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