Regia di Antony Cordier vedi scheda film
Due coppie di giovani borghesi nella Parigi di oggi s’incontrano, stringono amicizia e, nel giro di poco tempo, iniziano a scambiarsi i reciproci partners. Tutto sembra filare liscio, i quattro protagonisti si rispettano e continuano a vivere senza particolari scossoni le proprie vite con i rispettivi coniugi e amanti. In apparenza, non sorge alcun conflitto. Gelosia e competitività sono bandite, ma le prime crepe sono in agguato. Il quartetto sta infatti vivendo un’esperienza che ha dell’utopistico e, come sempre, le utopie per quanto fondate su solidi basi devono prima o poi fare i conti con la realtà, con la vita di tutti i giorni, con i rapporti famigliari e sociali. Il quartetto si scioglie senza traumi o scene madri, forse solo perché l’esperienza è giunta la capolinea e non ha più nulla da offrire. La mia è soltanto una personale interpretazione di un finale tutto sommato consolatorio, che si affida alla fantasia e/o alle proiezioni dello spettatore.
In competizione alla Mostra Cinematografica di Venezia nel 2010, il film ha diviso critica e (scarso) pubblico in Francia e, da quanto ho capito, è stato poco visto in Italia. La spaccatura nel giudicarlo è comprensibile. Se è legittimo accusarlo di qualche lentezza, probabilmente a causa delle ripetute scene di sesso e dell’apparente esiguità dei dialoghi, altrettanto legittimo è apprezzare il tentativo di raccontare una storia più libertina che libertaria senza falsi pudori, riuscendo nel contempo a non assecondare chi alla pellicola si affaccia per banale voyeurismo. A questo si aggiunge la partecipata e spontanea interpretazione di attori chiamati a mettersi molto letteralmente a nudo, richiamando però l’attenzione sull’esplorazione e sulla dinamica dei rapporti più che sulla rappresentazione erotica degli incontri. Il quartetto di interpreti è ben assortito. Come spesso accade nel cinema francese, per i ruoli femminili che prevedono molta nudità e prestazioni sessuali, non vengono scelte le classiche “bombe sexy” di stampo hollywoodiano (biondone tutte culo e tette), ma donne vere, normali e attraenti come ci capita di incontrare nella vita di tutti i giorni. Attrici come Elodie Bouchez e Marina Foïs corrispondono perfettamente a questa tipologia. La regia chiede loro di esibirsi, certamente, ma recitando nella maniera più seria e naturale possibile. Anche i due maschietti se la cavano egregiamente, in particolare il polimorfo Roschdy Zem, ormai abituato a calarsi con disinvoltura in ogni genere cinematografico, dalla commedia al dramma, passando per il cinema d’azione e i film intimisti, come in questo caso. Breve e simpatica partecipazione di Jean-François Stévenin che racconta in maniera assai originale la parabola del figliuol prodigo.
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