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Picco

Regia di Philip Koch vedi scheda film

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La recensione su Picco

di scapigliato
10 stelle

Ispirato a fatti realmente accaduti il film di Philip Koch racconta con crudo realismo e con un inquietante distacco emotivo l’evoluzione sadica di un adolescente da vittima a carnefice. La direzione evolutiva è anche quella da consapevole a inconsapevole, come se il grado di massima autonomia e libertà morale determinasse la consapevolezza del bene e del male e il proprio ruolo all’interno del sistema sociale, mentre invece il grado di massima sottomissione e plagio determinasse il preludio a un illimitato esercizio dell’istintualità più primitiva e irrazionale.

L’evoluzione narrativa del giovane protagonista corrisponde all’involuzione morale dello stesso, rappresentata anche attraverso l’apatia in cui cade durante la fase “carnefice” esattamente opposta alla combattività della precedente fase “vittima”. La cosificazione del protagonista, il Picco del titolo, è la sua marionettizzazione nelle mani di un sistema corrotto che non è quello carcerario tedesco, solo implicitamente denunciato nella pellicola, ma quello sociale degli adolescenti. Un sistema in cui sono previste regole di branco altamente gerarchizzate dove il leader del gruppo vanta la propria posizione attraverso l’esercizio della violenza e dell’umiliazione.

Con una messa in scena sobria e minimalista, dove i campi totali che osservano le desolate pareti del carcere si alternano ai dettagli dei volti con le loro inquietudini e la loro follia, il regista mette in scena la desolazione di un’educazione e il vigore di una diseducazione. Attivo e passivo si alternano in una danza di morte che porta i più deboli a soccombere e i più forti a sottomettere.

La grandezza del film è il racconto dell’insostenibilità. Attraverso l’intimità dei luoghi chiusi o circoscritti, come la cella con le sue brande e il suo cesso a vista, o come la mensa, il piccolo cortile e le docce dove la nudità scopre la vulnerabilità e l’affratellamento si svela in positivo o negativo, la regia di Philip Koch accompagna lo spettatore in un inferno popolato da giovani angeli che allontanati dalle occasioni di giustizia e libertà critica diventano prede e predatori del proprio cannibalismo.

È interessante notare come nell’Europa nordica dei primi vent’anni del nuovo millennio, quella funzionale e severa, baluardo del progressismo mondiale, stiano balzando all’onore della cronaca cinematografica, tra l’altro con opere di altissimo livello artistico e sociale, pellicole che trattano il disagio adolescenziale attraverso l’esemplificazione della violenza più tribale.

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