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Survival of the Dead

Regia di George A. Romero vedi scheda film

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La recensione su Survival of the Dead

di callme Snake
8 stelle

Due o tre cose che so di Survival (e degli zombi)

I morti ritornano a vivere. Un gruppo di soldati disertori si imbatte nella possibilità di fuggire su un'isola dove sperano di controllare meglio la situazione e sfuggire alla morte. In verità anche questo "giardino" ha i suoi problemi: due famiglie si contendono il dominio del territorio. Il patriarca a capo della prima crede che gli zombi possano essere rieducati, rifiutandosi di ucciderli (in realtà li tiene in catene come schiavi...); quello a capo della seconda non esita a sterminarli, dimenticando i suoi doveri verso "i vivi".
Al sesto episodio di una saga che ha cambiato i connotati del genere horror e della storia del cinema, non si può certo dire che la metafora si sia molto evoluta (lo zombi come l'uomo occidentale: noi siamo loro e loro sono noi). Il punto di vista e gli accenti sui quali si focalizza l'attenzione di Romero invece differiscono di episodio in episodio e illuminano il presente e l'immediato futuro con una chiarezza sconcertante.
L'incipit è comune a tutti i capitoli: l'uomo si trova di fronte al mistero dei morti che tornano in vita (ma, fuor di metafora, si trova di fronte al mistero della morte tout court). Le istituzioni e la società sono immerse nel caos più totale. Tuttavia, anche nel caos delle leggi di natura che si ribellano, della cultura che crolla sotto il peso della violenza, della morale che si sfalda, qualche cosa sembra perdurare: lo spettacolo.
The show must go on: se Dawn of the Dead si apriva in uno studio televisivo e Diary of the Dead era un j'accuse allo spettacolo che, bazinianamente, uccide anche la morte ("The Death of Death"), in Survival per un attimo i soldati incontrano i giovani "filmaker" del capitolo precedente, i quali scopriamo avere avuto un grandissimo successo grazie al film da loro realizzato. Come molti pensatori del secondo Novecento, Romero sposa la tesi che lo spettacolo si sia sostituito alla società o che comunque ne regga il funzionamento. Anzi, qui ne sopravvive persino alla morte.
Con il progredire della saga le differenze specifiche tra i morti viventi e i vivi morenti si sono via via affievolite, fino alla sublime ambiguità di questi ultimi capitoli (ma fin da La Notte dei Morti Viventi le distinzioni erano poste solo per essere contraddette). Chi sono i vivi e chi i morti? qual'è la differenza tra di essi? La differenza, per Romero, sembra risiedere nell'autonomia di pensiero dei singoli personaggi (e in questo senso tutti siamo almeno in parte zombi). Chiunque sia governato, imprigionato, manovrato è un morto vivente. In Survival of the Dead i più autonomi sono i soldati che inseguono l'utopia di un posto in cui i morti non tornino in vita (l'utopia di una vita senza morte ed allo stesso tempo la resa a combattere: non a caso i protagonisti disertano), l'equivalente del Canada per il protagonista di Land of the Dead o della stanza-occhio di Diary o del supermercato di Zombi. Ma ogni utopia è costretta a scontrarsi con la disillusione.
Le letture politiche dei film di Romero sono legittimamente numerose: tuttavia ci si accorgerà di come le sue pellicole non facciano riferimento tanto a situazioni precise e contingenti (le quali si possono comunque a buon diritto intravedere al dì là della storia), cioé non siano film su questa o quell'altra politica, su questa o quell'altra guerra, su questo o quell'altro paese, ma più universalmente mettano in scena i meccanismi della politica innestandoli sulle regole del genere horror (e in questo caso, con grande padronanza, del western e dei suoi stereotipi tanto importanti per la società americana: la famiglia patriarcale, la proprietà, l'agricoltura e l'allevamento, il duello). In altre parole, Romero non richiama per esempio la guerra in Iraq facendo uso di riferimenti precisi, ma fa sì che le regole e o procedimenti che sottendono e alimentano la guerra in Iraq, o quella del Vietnam, o qualsiasi altra guerra, siano le stesse che sottendono il plot e i comportamenti dei personaggi all'interno dei suoi film. Questo è il motivo per cui Survival of the Dead è popolato, pur non parlando di politica, da guerre intestine, propaganda, esilii, ribellioni, diserzioni e soprattutto confusione. La confusione mediatica, ideologica, culturale che permette a qualcuno di sfruttare qualcun altro.
Lo schema di Survival, sviluppato in chiave più western che horror, pone da un lato i "politici" (i due patriarchi che si scontrano su posizioni ideologiche differenti ma che infondo non si preoccupano di nulla al di fuori della loro posizione di potere), dall'altra gli "zombi" (i morti vienti certo, ma anche gli esseri umani che seguono i patriarchi e che vengono parimenti sfruttati). In mezzo i disertori e gli outsider, costretti dalla situazione a pensare solo a se stessi e a perpetrare la violenza per rimanere in vita. La domanda che sorge spontanea e inquietante a questo punto è la stessa del finale di Diary of the Dead: vale la pena essere salvati?

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