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Cosa voglio di più

Regia di Silvio Soldini vedi scheda film

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La recensione su Cosa voglio di più

di mc 5
10 stelle

Quando un film parla al tuo cuore come questo, è con il cuore che devi rispondergli ed è principalmente affidandoti ad esso che devi emettere il tuo giudizio. Il film non solo mi è piaciuto da morire, ma mi ha esaltato e commosso. Capita di rado di assistere alla visione di un film italiano così calato nella realtà. Ed è una realtà che conosciamo bene, alcuni di noi anche molto da vicino, quella dei poveri cristi qualunque che davvero faticano ad arrivare alla terza settimana del mese, non certo la realtà borghese che di solito ci racconta il cinema italiano. Soldini ha dunque centrato bene soprattutto lo sfondo sociale di questa vicenda, uno sfondo di case popolari di periferia, di gente piegata ad un destino grigio e senza qualità, accontentandosi di quel poco che ha, e con la paura che anche quel poco possa essere eroso. Gran parte del cinema italiano di oggi è legata alla commedia e si pone tra i suoi obbiettivi principali quello di risultare "simpatico" agli spettatori, soprattutto a quelli ideali delle multisale. Potremmo quasi definirlo un cinema "piacione". Discorso questo che coinvolge anche quelle pellicole che esibiscono un vago retrogusto amarognolo che attiene ad una critica dei costumi sociali dominanti (Veronesi, tanto per cambiare, la mia "bestia nera"). Ebbene, finalmente, stavolta è il caso di una rappresentazione con inclinazione al dramma e dunque la suddetta tendenza "piaciona" non vi ha cittadinanza alcuna. Un film talmente compenetrato in una realtà sociale autentica, che -a tratti- non sembra nemmeno fiction, ma una documentazione di vite di persone vere. E senza tracce di suggestione indotta, di carica drammaturgica, di eccesso di teatralizzazione. No, è la realtà ad essere talmente drammatica, talvolta ai limiti del grottesco, con quegli appartamenti popolari dove aleggia come un fantasma di tristezza. Soldini ci vuole dire che chi conduce esistenze così misere e grigie ha ben poche speranze di mutare la propria condizione. Con l'obbiettivo a fuoco non sul sottoproletariato ma su quelle famiglie normalissime che sono entrate in quella categoria che i telegiornali chiamano "i nuovi poveri". E così capita che in due famiglie logorate dall'abitudine al rigore (si risparmia anche sui 5 euro!) e dalle ristrettezze economiche, matura un malcontento e una voglia di evadere, di cercare altrove una parvenza di "rifugio", di "seconda chance", pur sapendo che si tratta di un'illusione. Prendiamo i due protagonisti (amanti clandestini). Anna e Domenico non ci stanno a rassegnarsi. Inconsapevolmente si stanno cercando a vicenda. E un giorno per caso si trovano, scoprendo così che l'infelicità dell'una è complementare all'insoddisfazione dell'altro. E' una scoperta densa di emozioni, di suggestioni potenti, di improvvisa inaspettata eccitazione, di delirio inebriante dei sensi, quei sensi che parevano quasi sopiti...ma il tutto si rivelerà una mortificante illusione. E questo perchè mai? perchè due mosche che sbattono contro un vetro, quando la finestra si apre non riescono ad uscire da un luogo chiuso asfissiante? Principalmente perchè, semplicemente e stupidamente, manca loro quel benessere materiale che è oggi condizione ineludibile per affrontare qualsiasi evoluzione del proprio stato. Le difficoltà economiche assillanti (parlavo prima di "nuovi poveri"...) determinano frustrazione e impotenza. In una parola sola: infelicità. E viene naturale ipotizzare che se i due protagonisti non stessero "messi così male", dove sarebbe il problema? Forse che è evento così raro che due famiglie vadano in crisi o due coniugi si separino affidando ad un nuovo partner un secondo capitolo della propria vita? Ormai è all'ordine del giorno vedere matrimoni che falliscono (mi viene in mente che sentivo proprio l'altro giorno alla radio di statistiche secondo cui in America il 30% dei matrimoni va a rotoli!). Dunque fa parte della vita che un legame tra due sposi possa esaurirsi. Però questi ragionamenti sono "ordinari" e scontati per una famiglia "borghese", ma per coloro che vivono in situazioni di precarietà economica affrontare i costi di una separazione o divorzio (leggasi: parcelle di avvocati) per non parlare poi dei costi di un nuovo matrimonio, beh, tutto ciò diventa qualcosa di drammaticamente insormontabile. E allora, a conti fatti, non si può che rinunciare a qualunque approdo verso la serenità, verso un'idea di felicità cui anche il più miserabile degli uomini avrebbe diritto. Triste, vero? Ecco, di questa tristezza il film è impregnato. Ma il bello sta proprio qui, nel non aver paura di osservare la rassegnazione quotidiana, senza ricorrere ad espedienti di sceneggiatura che suggeriscano la benchè minima "edulcorazione" della pillola amara. I tempi, i ritmi, i modi, del film suonano veri, autentici. Gli ambienti rappresentati appaiono reali, quasi famigliari, tangibili, riscontrabili. L'ufficio dove Anna lavora, le colleghe di Anna, l'edicola del fratello di Domenico, il negozio dove lavora il marito di Anna, la lavanderia, la piscina, perfino gli squallidissimi alberghetti da "50 euro per 4 ore"...insomma tutto ciò che vediamo come palcoscenico di questo teatro della malinconìa risuona nella sua infinita tangibile autenticità. E la percezione di questo senso di tristezza è una sensazione che non ricordo di aver mai vissuto (o molto raramente) prima d'ora in ambito di cinema italiano. Soldini stesso pare aver dato nuovo e sorprendente impulso al suo stile registico. Peraltro il miglior Soldini mai visto finora. Magistrale il modo in cui la sceneggiatura ha delineato i tratti di tutti i personaggi, anche quelli secondari o minimi. Tutti ruoli scritti con amore e con grande credibiltà. Tipo la coppia amica di Anna e di suo marito. Oppure la (splendida!) moglie frustrata ma non piegata di Domenico. Oppure la cara zia Ines che parla esclusivamente in dialetto milanese. Insomma, in un cinema italiano composto per lo più di macchiette o stereotipi, fa piacere incontrare personaggi così carnalmente "presenti", così portatori di emotività semplici ma credibili. Chi mi conosce sa bene che -da tempo immemore- ogni volta che mi trovo a recensire un film francese mi capita puntualmente di concludere con questa frase: "Ma possibile che noi italiani non riusciamo a fare un film così?". Ecco, stavolta ce l'abbiamo fatta. Anzi, andando contro le mie proverbiali convinzioni, stavolta mi sentirei di affermare il contrario, e cioè che "i francesi non riusciranno mai a fare un film bello come questo". Dunque, questi due nuclei famigliari che vediamo sullo schermo, adagiati -e rassegnati- nei rispettivi tran tran, COSA VOGLIONO DI PIU'? E a questo punto la sola risposta (clamorosa quanto banale) non può essere che la seguente: CIASCUNO DI NOI HA IL SACROSANTO DIRITTO DI ESSERE FELICE. Ma quando nemmeno la ricerca di questo elemento è perseguibile, quando la vita ci rema contro, quando di soldi ce n'è pochini, beh, allora tutto IMPLODE in un teatrino dell'infelicità che può anche uccidere. E adesso diamo inizio all'analisi di un cast strepitoso. Con una premessa. Secondo me Soldini ha avuto un duplice merito. Intanto (come ho già accennato) ha saputo regalare un notevole spessore ai ruoli secondari, caricandoli di significati e di sfumature importanti. Ma ha soprattutto compiuto un piccolo miracolo nel reinventare due stili attoriali. Francamente infatti un Favino e una Rohrwacher così io non li avevo mai visti! Favino appare (grazie a Dio) "demucinizzato" (neologismo che credo renda l'idea...), mentre Alba non è (finalmente) "tutta impostata" come la conoscevamo, di solito troppo ingabbiata in schemi teatrali espressivamente un pò artefatti. Entrambi qui ci paiono improntati ad una recitazione affidata al loro estro, al loro istinto, alla loro estrema naturalezza. E' straordinario osservare i sentimenti che muovono le scelte di Domenico perfettamente riprodotti nella luce espressiva dei suoi occhi. In altri termini, quel "recitare con gli occhi" che io evoco ogni volta che apprezzo particolarmente una performance d'attore. Ma anche Alba è apprezzabile in un ruolo che è "carne e sangue", nervoso e irrequieto, lontano da certe sue prove forse troppo trattenute. Per entrambi gli attori, comunque, sicuramente il punto più alto ed impegnativo delle rispettive carriere. E veniamo ai ruoli secondari, il che si traduce in una sequela di attori rodati e formidabili. Innanzitutto mi ha fatto piacere rivedere dopo tanto tempo un anziano caratterista napoletano come Sergio Solli (è il genero di Domenico). Poi c'è Fabio Troiano (volto notissimo di un attore che a me è sempre stato simpatico, anche sul piano umano intendo). E ancora, da segnalare in un ruolo brevissimo come una specie di cameo, uno degli attori di teatro più fantastici che l'Italia possa annoverare: l'immenso Ninni Bruschetta (è l'edicolante fratello di Domenico). E vorrei concludere con la mia preferita assoluta del cast. Si tratta di un'attrice che avevo già visto qualche altra volta, ma sempre da me trascurata o ignorata: Teresa Saponangelo (è la moglie di Domenico). Qui mi ha fatto letteralmente innamorare, sia del personaggio sia della donna (la trovo bellissima!). E' straordinaria nell'incarnare questa donna del sud, stressata e sfiancata da una vita agra, tuttavia madre e moglie ancora presente a sè stessa, nonchè ancora capace di slanci di desiderio fisico verso un marito che vede allontanarsi da lei giorno per giorno. Mi accorgo sola ora di aver praticamente ignorato Giuseppe Battiston; ma per raccontare adeguatamente la qualità e le sottilissime sfumature di questo suo difficile ruolo di uomo ferito e irreversibilmente umiliato, occorrerebbe troppo spazio: resta il fatto che questa sua prova reclama un premio, un riconoscimento, qualcosa che ne riconosca e sancisca il valore. Concludendo. Uno dei film italiani più tristi e più belli che abbia mai visto. E il voto massimo che sto per attribuirgli è un voto pieno.
Voto: 10

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